E’ sotto gli occhi di tutti. Le professioni moderne sono quasi tutte digitali. L’informazione è la materia prima che si compra e si vende ogni giorno in un mercato enorme di info-lavoratori e info-imprenditori connessi a Internet e social network. Alcuni trascorrono fino a 16 ore di fila con uno schermo: computer, cellulare e tablet. Lavorano anche di notte e perfino nei week end, come è emerso nella ricerca “Il TecnoStress nel lavoro digitale” che ho curato nel 2015 su un campione di 1.067 lavoratori digitali. Risultato? Aumentano i malati di TecnoStress. Il 45% degli intervistati segnala sintomi preoccupanti: insonnia, attacchi di panico, ipertensione, disturbi gastrointestinali e cardiocircolatori, gastrite, depressione, alterazioni comportamentali, calo della concentrazione.
Chi difende questi lavoratori in Italia? Nessuno. Neppure il Movimento 5 Stelle, che usa e lavora moltissimo con le nuove tecnologie, sembra sensibile al problema (gli altri partiti neppure li nomino, impegnati come sono a occupare solo poltrone e sbranare le casse dello Stato). Eppure il nuovo Parlamento, dopo le elezioni del 4 marzo, dovrebbe secondo me discutere una proposta di legge per un equilibrio digitale nell’infolavoro, che integri ormai il superato Decreto Legislativo 81 del 2008 (il Testo Unico della sicurezza sul lavoro) che fu scritto quando ancora si lavorava in ufficio con i vecchi computer a tubo catodico e la rivoluzione del touch screen era alle porte. In quella legge si diceva che il videoterminalista doveva effettuare una pausa di 15 minuti ogni 120 minuti. Ma chi la applica oggi? Ha senso questa norma obsoleta in un mondo “always on”, sempre connesso, dove si lavora per strada o al bar con un tablet e un cellulare? Dal 2008 al 2018 sono trascorsi dieci anni e oggi il videoterminalista è un “mobile worker”, cioè un infolavoratore che lavora muovendosi con la tecnologia. L’enorme quantità di informazioni (spesso in multitasking) che deve gestire mette a serio rischio la sua salute.
In Francia nel 2016 è entrata in vigore una legge che impone ai dipendenti di non usare le email aziendali in orario extra lavoro: l’email addiction infatti può nuocere alla salute. In America da anni si parla di Digital Balance e lo psicologo Larry Rosen continua a pubblicare studi e ricerche sul rischio TecnoStress (ha iniziato nel 1998) e sulla Net Addiction (net dipendenza).
Da parecchi anni, quando partecipo ai convegni o nei corsi di formazione, parlo di equilibrio digitale nell’infolavoro per tutelare non solo la salute, ma anche il reddito da lavoro e il business (se infatti ti ammali, perdi il lavoro e la produttività dell’azienda cala). Di recente Luca Conti, scrittore e docente di web marketing che ho intervistato, ha iniziato a parlare di equilibrio digitale (qui il suo podcast) dopo aver notato su di sé i sintomi del TecnoStress e della videodipendenza, decidendo di limitare l’uso delle nuove tecnologie e varando un suo decalogo personale di autodifesa. Anche Dario Martinis e Andrea Del Tetto, infomarketer genovesi, dopo essersi ammalati di TecnoStress (in un video raccontano la loro storia) hanno fondato il sito “techstressfree” e mettono in guardia dai pericoli del lavoro digitale. Eppure, sul piano politico, non si muove una foglia.
Il TecnoStress, ricordiamolo, nel 2007 la Procura di Torino l’ha inserita nell’elenco delle malattie professionali e dal 2014 anche Inail ha iniziato a riconoscere il rischio (inserendola nell’elenco delle malattie professionali “non tabellate” con onere della prova a carico del lavoratore). Quindi non si può più rinviare. Serve un tavolo di discussione politico e giuslavorista per arrivare a una proposta di legge (o una modifica del D.lgs 81-2008) che riconosca i pericoli del TecnoStress nell’infolavoro e promuova la formazione per un equilibrio digitale. Cosa ne pensate? Siete anche voi esposti al sovraccarico informativo e allo stress digitale? Raccontate la vostra esperienza nei commenti.
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