Apre alla cittadinanza per 1,8 milioni di giovani illegali ma chiede in cambio fondi per il muro al confine con il Messico e per potenziare la sicurezza delle frontiere in generale, oltre ad una stretta anche sugli ingressi regolari. E’ l’offerta che Donald Trump farà ai democratici per risolvere il nodo dei Dreamer. Lo staff del presidente l’ha formulata in un piano che verrà presentato al Senato lunedì e su cui fonti della Casa Bianca hanno fornito anticipazioni, con dettagli che sollevano già le ire di attivisti e progressisti, perfino qualche repubblicano, che tuonano denunciando il tentativo di spazzare via gli immigrati dal Paese e chiudere le frontiere.
Eppure per il presidente Usa l’offerta – redatta dal consigliere Stephen Miller, noto per la sua linea dura sull’immigrazione, e dal chief of staff John Kelly – è pensata per raggiungere il compromesso necessario a sbloccare l’impasse legislativo che ha trovato uno scoglio nel mancato accordo sul testo per il finanziamento del governo che ha portato a quasi tre giorni di “shutdown” dell’amministrazione federale, superato soltanto con un provvedimento temporaneo e dopo un duro braccio di ferro.
I dettagli, quindi: la cifra di 1,8 milioni di possibili regolarizzazioni per giovani immigrati illegali va anche oltre i 700mila Dreamer – entrati negli Stati Uniti illegalmente quando minori – per cui i democratici chiedono una soluzione dopo la revoca dell’apposito programma Daca (Deferred Action for Childhood Arrivals) voluto da Barack Obama. Per contro però la proposta prevede un trust fund di 25 miliardi di dollari destinati alla costruzione del muro alla frontiera con il Messico e a potenziare i dispositivi di sicurezza anche ai confini sud-ovest e nord. Si profila inoltre, secondo la proposta di Trump, una stretta sull’immigrazione regolare, restringendo la rosa di visti possibili per i familiari di cittadini Usa limitandoli a consorti e figli minorenni, escludendoli quindi anche per genitori e fratelli.
L’obiettivo è di avere un testo da sottoporre al Senato entro il 6 febbraio, in tempo per la scadenza dell’8 febbraio fissata con l’approvazione del testo sul finanziamento temporaneo del governo nei giorni scorsi, dopo quasi tre giorni di shutdown dell’amministrazione federale. E le pressioni della Casa Bianca e del presidente in persona sono fortissime, per un piano che viene descritto come “estremamente generoso” ma anche una proposta da ‘prendere o lasciare’, una risposta quasi alle critiche rivolte al presidente – dirette ed esplicite quelle dei democratici, più diplomatiche da parte di alcuni repubblicani – di aver tenuto una posizione poco chiara nelle recenti trattative poi naufragate.