MADE IN ITALY di Luciano Ligabue. Con Stefano Accorsi, Kasia Smutniak, Fausto Mari Sciarappa, Italia, 2018 Durata: 104’ Voto 3,5/5 (DT)
Nei dintorni di Reggio, sulla via Emilia, oggi. Riko si fa andare bene la vita che ha: una bella moglie parrucchiera che lo tradisce (e lui tradisce lei), 1200 euro al mese vestito come “un preservativo” a lavorare in un salumificio dove il cibo è insapore e l’aria pesante che si respira è quella dei licenziamenti e dell’infelicità sociale. Quando poi col collega operaio e l’amico pittore maudit Riko giunge a Roma per manifestare contro la cancellazione dell’articolo 18, si scontra volutamente contro la polizia e si prende una manganellata in fronte. Dolente storia di provincia qualunquista e incazzata, Made in Italy è un film zeppo di risentimenti del nuovo proletariato quarantenne (estetiste, osteopate e gestori di palestre) con smartphone e tatuaggi insofferente alla vita già scritta nel destino, un po’ come nella filosofia poetica del manifesto canterino di Ligabue, Una vita da mediano. Un paio di monologhi del protagonista (quello sulla casa che non si riesce a mantenere e vendere, e quello sul perché si è incazzati che coinvolge sanità, lavoro, e pensione) centrano con brio il livore odierno delle masse. Ogni tanto la regia si perde in parentesi tra il pop e il kitsch, con un paio di accelerate da videoclip che fanno tanto “stravagante”, ma la rockerilla padana di Ligabue, tutta portici bassi e mortadelle insaccate, “andiamo a ballare” e amici borderline che si drogano e giocano alle slot, convince. Accorsi, cicca in bocca, camicione da rocker aperto sul davanti, e pugno facile, si infila come un guanto il personaggio del provinciale dall’anima intonsa e dalla rabbia compressa nello stomaco. Apparizione del produttore Procacci ai tavolini di un bar sul finale. Pezzi strumentali del Liga niente male per quaranta minuti, poi lui che canta proprio non ci sta.