Gli automobilisti italiani hanno ormai cominciato a familiarizzare con quello “strano” oggetto chiamato gomma invernale. Ovvero pneumatici specificamente studiati per rendere al meglio alle basse temperature (sotto i 7°), sul bagnato, in mezzo a neve o fango. E anche su fondi ghiacciati. Non a caso si riconoscono dalla marcatura M+S (Mud+Snow, ovvero fango+neve) e dal pittogramma alpino, ovvero una montagna con tre picchi con dentro un fiocco di neve: la prima è in pratica una autocertificazione della casa costruttrice, la seconda viene concessa dopo aver superato test specifici.
Dal 2004 sono cominciate le prime campagne d’informazione da parte delle aziende operanti nel settore, riunite sotto associazioni di categoria come Assogomma e Federpneus. Approfondimenti normativi e formativi che evidentemente hanno dato i loro frutti, se il mercato nazionale del pneumatico è passato dal milione di gomme invernali (15 anni fa) sui 30 complessivi venduti annualmente, ai 10 milioni attuali.
Ebbene si, circa un terzo dei pneumatici nuovi commercializzati ogni stagione sono invernali. In linea con le ordinanze di alcune amministrazioni locali che le prevedono come equipaggiamento (insieme alle catene, comunque ammesse dalla legge come soluzione alternativa) per le autovetture nei mesi invernali, dal 15 novembre al 15 aprile.
Ma perché cambiare il proprio treno di gomme estive o all season con le invernali, spendendo soldi? Beh, soprattutto perché garantiscono più tenuta e spazi di frenata più corti, nelle condizioni su elencate. Il che si traduce in maggiore sicurezza, un qualcosa difficilmente quantificabile in denaro.
Per quantificare le performance dei diversi tipi di pneumatici, proprio Assogomma ha organizzato dei test specifici al Sestriere su fondo ghiacciato, dai cui rilevamenti sono venuti fuori dati interessanti, prendendo due auto uguali, e facendo “calzare” a una delle coperture normali (o estive) e all’altra quelle invernali. E subito dopo impiegandole in diversi esercizi per capire fino in fondo le differenze.
Le vetture utilizzate per le prove sono state le Alfa Romeo Mito, Giulietta e Stelvio, le Maserati Ghibli e le Volvo V90 Cross Country. Equipaggiate come detto con coperture (Continental, GoodYear, Michelin e Bridgestone) diverse tra loro, e impegnate in prove di accelerazione, frenata (anche in discesa), anello circolare, handling su strada montana con saliscendi.
Sarebbe un pò troppo lungo riportare le risultanze, anche cronometriche, di ogni singolo test. Meglio tentare una sintesi. Partire e muoversi su ghiaccio e neve è sempre problematico. Le ruote non hanno grip e spesso girano a vuoto, a maggior ragione se i pneumatici sono estivi: con gli invernali si riesce invece ad avere quella presa ottimale che permette sia di partire che di gestire le situazioni critiche come le curve e le frenate mantenendo il controllo e limitando i tempi di arresto, anche se sul ghiaccio (situazione riscontrata durante le prove) pure questi faticano.
Il discorso non cambia se si è a volante di un’auto o un suv con trazione integrale: anche in quel caso la potenza viene scaricata a terra in maniera ottimale solo se le “calzature” dell’auto lo permettono, quindi pensare di essere al riparo da eventuali problemi solo perché si guida una 4×4 è pura illusione.
Così come lo è pensare che la cosiddetta opzione “mista”, ovvero montare due gomme estive più due invernali, sia una soluzione. Benché la legge non lo vieti, i test hanno dimostrato che in quel caso le auto sono ancora più ingovernabili.
Insomma, sarebbe buona abitudine utilizzare il pneumatico corretto (non ce la facciamo proprio a scrivere “lo”…) a seconda della stagione. Verificarne lo stato di usura (lo spessore del battistrada non dev’essere inferiore a 1,7 millimetri) e controllare che sia sempre gonfiato alla giusta pressione (quella riportata sul libretto). Così si viaggia sicuri e si risparmia pure, visto che si impiega in media il 15% di carburante in meno.