Squilla il cellulare. Una voce morbida e accattivante, come tutte quelle, d’altronde, che lavorano in radio. Si presenta, Elisabetta Fusconi. “Ti sto cercando da un pezzo, da dicembre per invitarti a “Funamboli” su Radio 24. Casco dal pero. Davvero? Il motivo di tanto accoramento è un pamphlet scritto dalla sottoscritta Te la do io la Svizzera. Heidi non abita qui, introduzione di Peter Gomez e prefazione Gianni Barbacetto (grazie, maestri) è un’istantanea di un paese contraddittorio, di grande civiltà e di immense ipocrisie.
Elisabetta, doppia cittadinanza, italiana e svizzera, un marito che lavora a Lugano e due figlie che frequentano la scuola svizzera di Milano. Insomma tutte le fortune dalla sua parte. Mi fa: “Mi sono divertita a leggerti, ironica e spigolante”. Agli svizzeri invece sono piaciuta meno. Il Corriere del Ticino (un giornale per il quale ho anche collaborato e che stimo) mi ha attaccato, senza neanche aver sfogliato il libro, per il semplice motivo che non era ancora in libreria. Secondo l’illustre testata avrei avuto il potere di ritardare i treni e di bloccare un pezzo d’autostrada fra Aigle e Martigny per 7 ore. Avrei mandato in tilt la loro “svizzerialità”, un sistema fatto di regole scandite dalla puntualità, dall’ordine. Tutto questo per farmi pubblicità. Ho fatto inceppare quei meccanismi che loro credevano infallibili.
Titolavo sul mio blog “Carne in scatola siamo per la gendarmerie svizzera. Senza troppe spiegazioni ci hanno lasciato chiusi, intrappolati nell’abitacolo delle nostre auto. Causa una spruzzata di neve che non impediva al traffico della corsia opposta di scorrere regolarmente”. E un solerte redattore ha riportato che ero rimasta bloccata sull’autostrada a mangiare carne in scatola. Sulla questione si è persino pronunciato uno stimato giornalista Michele Fazioli, dicono che sia un po’ il Vittorio Feltricantonale (troppo onore che si sia occupato di me). L’emerito collega nel descrivere la signora, si corregge subito : “Pardon, una blogger…”. Poi spulciando su Internet, accenna che sono stata l’ex di qualcuno… Che colpa essere l’ex di qualcuno. Tutti, credo, che siamo stati ex di qualcuno o no? Poi mi da della snob e via così. Visto l’autorevolezza della firma mi sarei aspettata qualcosa di più, o di meno. Che almeno avessero letto Te la do io la Svizzera. Invece neanche lui, visto che la data del suo editoriale era antecedente all’uscita del libro.
Elisabetta, che invece ha letto il libro, mi ha invitato a Radio 24. I tre squillanti (in senso di voce) conduttori, Alessandro Milan, Leonardo Manera e Veronica Gentili funamboleggiano intorno alla polemica sui ticinesi in trasferta comasca a fare shopping si beccano multe a gogò per sosta vietata e accesso alla zone di traffico limitato. E hanno lasciato una voragine di 300mila euro nelle casse comunali. Soldi che potrebbero essere spesi assumendo, per esempio, più vigili urbani con missione speciale di fare multa agli svizzeri (Scherzo, ma neanche tanto). La parola a Diego Minonzio, direttore del La Provincia di Como: “I nostri confinanti ci vedono ancora come la Repubblica delle Banane. Tutori dell’ordine e della disciplina, ma solo da loro. Eppure abbiamo impiegato tanto tempo per riscattarci nei loro confronti, per farci prendere sul serio. Sembra la rivincita di Fantozzi…”. “E’ un fatto antropologico/culturale, da noi lo svizzero si italianizza e si fa scudo del lassismo made in patria”, si chiedono le voci conduttrici. Ma noi di là ci facciamo un bagno nelle loro regole pedissequamente osservate?
Mi ricorda Paolo Martini, penna fustigatrice di modi e costumi, ultimo libro Bambole di Pietra: “ A un amico fermato in Svizzera per eccesso di velocità, gli hanno sequestrato l’auto e lo hanno spedito a piedi. Processo, è finito sulla black list di indesiderati e per un anno non ha potuto mettere piede in svizzera”. Forse, è una cura drastica che dovremmo applicare anche da noi. Però da voi, cari vicini, se non paghiamo una multa rischiamo la galera. Alcuni di voi (per carità non tutti), varcato il confine, rimangono impuniti. E ci fanno ciao (come le caprette lo facevano a Heidi), magari anche accompagnandosi con l’eloquente gesto dell’ombrello.