“Matteo, scusa ma io piuttosto che fare fuori i miei, non mi candido”. Parole pronunciate da Andrea Orlando e indirizzate a Matteo Renzi.
“Liberi e uguali ha un problema politico. Avevo proposto di fare le liste in modo nuovo e diverso. Non sono stato ascoltato e adesso il leader a cui ci siamo completamente affidati, in modo anche ingenuo e sincero, ci darà la risposta. Spero”. Pippo Civati, il fondatore di Possibile, si diceva amareggiato e preoccupato per il metodo che Pietro Grasso aveva adottato.
“Sappiamo benissimo perché mi hanno escluso. E non mi hanno neanche avvertito”, ha detto Andrea Mazzillo, ex assessore al Comune di Roma. Lui è uno degli esclusi dalle parlamentarie del M5s. Accuse e veti si confondono mentre non sono pochi quelli che hanno deciso di adire alle vie legali. Come l’avvocato Ugo Morelli che ha annunciato di aver presentato un esposto in cinque diverse procure.
Dissapori e contrasti anche a destra, ma a quanto pare meno dilanianti. La composizione delle liste agita la gran parte dei partiti. Li agita proprio mentre si sforzano di proporsi. Da una parte vanno in tv a parlare di lavoro e tasse, diritti da rivendicare e aumenti da apportare, dall’altro discutono per un seggio in Parlamento. Ora rilasciano una dichiarazione a qualche agenzia di stampa e un minuto dopo chiamano il loro “capobastone”, oppure addirittura il Presidente, per sapere qualcosa.
E’ proprio questa divaricazione tra l’apparire e l’essere che disorienta. Che allontana piuttosto che avvicinare. Sia ben chiaro, la lotta per l’inserimento in lista non è una novità. Insomma non è un malvezzo recente. Anche ai tempi della cosiddetta prima Repubblica la questione non era irrilevante e soprattutto non si risolveva senza fiumi di parole e tante discussioni. Il punto è proprio questo, quindi. Che non è cambiato sostanzialmente nulla rispetto a quel passato tanto vituperato, quasi messo all’indice. I nuovi partiti utilizzano modalità di selezione che non sono mutati. Ma c’è un aggravante. I leader di quella stagione, per molti completamente da dimenticare, non si proponevano come moralizzatori, non si raccontavano come “rottamatori”. Facevano politica con molti demeriti, ma anche con qualche merito.
Ora si rincorrono gli elettori reali e quelli potenziali. Si blandiscono con le promesse gli incerti, la cui schiera si rimpolpa ogni giorno di più. Intanto i sondaggi restituiscono percentuali in crescita di persone che dichiarano di non voler esercitare il diritto di voto. Ma le promesse continuano ad essere slegate dai programmi. Gli aspiranti politici, anche se provenienti dalla società civile, continuano a essere lontanissimi dalle persone e dai loro bisogni. E questo rincorrere un posto in lista, senza alcun ritegno, non contribuisce di certo a far aumentare l’appeal nei confronti della politica. E’ ben comprensibile che donne e uomini che abbiano problemi a trovare un’occupazione, oppure siano alla ricerca di una visibilità lautamente retribuita, pensino a sistemarsi con un posto in una qualche lista e magari in Parlamento.
E’ perfino in qualche modo giustificabile che una volta raggiunta l’agognata sistemazione non si voglia abbandonarla. Quello che risulta davvero imperdonabile è che per ottenere quel che si vuole si strepiti come oche e si puntino i piedi come bambini viziati. Quale credibilità possono avere persone che utilizzano tali modalità di comportamento? Quali capacità potranno esercitare persone così arroganti?
Non è più questione di politica, ma di buon gusto. Il timore che il prossimo parlamento possa assomigliare almeno un po’ a quello surreale del film con Antonio Albanese, Tutto tutto, niente niente, si rafforza. L’inverosimile sta per trasformarsi in reale.