“Una scelta suicida. Candidando Casini a Bologna e silurando Lo Giudice nella stessa città, il Pd ha deciso di non prendere i voti di gran parte del suo elettorato”. “La questione dei diritti civili si è esaurita per il Pd, che ha dimostrato di averla usata solo come moneta politica per ottenere un certo appoggio”. A poche ore dall’approvazione delle liste del Partito democratico per le elezioni di marzo, arrivate dopo una direzione che si è protratta fino a notte fonda, gli elettori di Bologna commentano la conferma della candidatura di Pier Ferdinando Casini nel collegio uninominale dell’area metropolitana bolognese e quella mancata di Sergio Lo Giudice. “È un dato di fatto, non vogliono il voto della comunità lgbt – spiega Vincenzo Branà – fa riflettere un partito che cancella dalla propria storia i cinque anni di battaglie Lo Giudice al Senato, e ne include altre, non solo quella di Casini, ma anche quella dell’onorevole Giuseppe Fioroni, della ex vicepresidente del Senato Rosa Maria Di Giorgi, del senatore Stefano Lepri, cioè di tutta quella parte del Parlamento che più si è ostinata all’approvazione della legge sulle unioni civili, vero sabotatore della stepchild adoption”.
E sulla candidatura con il Pd del condirettore di Repubblica Tommaso Cerno, ex dirigente dell’Arcigay: “È una brava persona, gli faccio l’in bocca al lupo anche perché la sua candidatura non è legata all’esclusione di Lo Giudice. Certo, mi dispiace che sia rimasto inascoltato il monito agli intellettuali lanciato oggi da Michela Marzano che cinque anni fa accolse l’invito del Pd a entrare in Parlamento, a fare attenzione ad abboccare agli “ami” della politica, perché in questi consessi l’autonomia e l’indipendenza viene garantita raramente”. “Mi è sembrata una scelta un po’ strana, è un personaggio che non conoscono in molti – sottolinea un ragazzo -. Onestamente non credo che la sua candidatura possa garantire le nostre battaglie. Una persona c’era già ed era Lo Giudice. Avrebbero potuto candidarli entrambi”.