La comunità Lgbt si è arrabbiata. Non è una novità: nella storia tra comunità arcobaleno e partiti politici (soprattutto in vista delle elezioni) il popolo arcobaleno si è sentito più volte umiliato e tradito da una politica che non vede i nostri bisogni, ma si limita a fare calcoli elettorali o di opportunismo politico. È successo con i Pacs, poi divenuti DiCo nel 2006, si è continuato con le civil partnership uguali al matrimonio poi diventate unioni civili da sganciare dall’articolo 29 della Costituzione, fino all’eliminazione delle stepchild adoption. Un déjà vu, insomma.
L’ultimo motivo di scontento è la mancata ricandidatura di Sergio Lo Giudice, su cui mi sono già espresso altrove. Fatto che dovrebbe interrogarci sulla qualità delle future proposte politiche rispetto alle nostre rivendicazioni, da qui ai prossimi anni. Prospettiva estremamente nebulosa, vista l’incertezza dell’esito elettorale e della durata della prossima legislatura.
La profonda frustrazione della comunità Lgbt può essere riassunta dalle dichiarazioni rilasciate a Gaypost.it da Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie arcobaleno: “I temi dei diritti civili in questa campagna elettorale sono assenti”, denuncia l’attivista, puntando il dito sull’esclusione di nomi importanti (ritorna l’affaire Lo Giudice), prova provata di un “accordo al ribasso sulle unioni civili” che “non è stato un incidente di percorso, ma un disegno politico preciso”.
Il sospetto, insomma, è che dietro quel sì alla “legge Cirinnà” si sia consumato un patto che prevedeva il niet all’adozione del figlio biologico del partner e la ricandidatura di certi personaggi. I maggiori avversari alla stepchild adoption, infatti, sono stati tutti riconfermati. Ciò fa male. Da qui si deve partire per capire il sentimento di rabbia che cova sotto l’arcobaleno. Se poi si pensa che uno degli uomini-simbolo di quella battaglia è stato fatto politicamente fuori (insieme ad altri, come Lumia e Manconi), e se si ascoltano le voci arrabbiate sui social che assicurano che non voteranno Pd (anche) per questa ragione, ci si può fare un’idea su cosa bolle in pentola.
Detto ciò, la comunità si interroga su quali sono le promesse dei vari partiti circa i propri diritti e sulla reale fattibilità in un contesto che vede tutti i partiti di sinistra all’opposizione al prossimo turno. Se tutto dovesse andare nel migliore dei modi, ed è difficilissimo che ciò accada, si arriverà a larghe intese tra Forza Italia e Pd. Ma questa prospettiva è pura immaginazione, appunto, salvo sorprese dell’ultimo momento.
Se la condanna sembra unanime, tuttavia le intenzioni di voto divergono profondamente: indagando velocemente sugli umori attuali, c’è chi propende per Liberi e Uguali, che sembra avere un programma al momento tra i più avanzati; chi vuole provare a mandare una pattuglia di radicali, scegliendo +Europa, per contrastare la destra che avanza; e chi, grato per la legge (imperfetta, incompleta e se permettete anche un po’ offensiva) sulle unioni civili, rinnoverà la sua preferenza per il partito di Matteo Renzi.
Ma c’è un’altra domanda da farsi: ovvero, come verranno portate avanti certe questioni, sia nell’ambito di un’improbabile azione di governo, sia che diventino – più verosimilmente – posizioni da difendere. Non credo che la destra metterà mani sulle unioni civili, ma come si comporterà su scelte riproduttive, adozioni o omogenitorialità più in generale? Cosa sarà fatto sulla lotta alle discriminazioni, al bullismo, all’omo-transfobia?
Avremo figure capaci di rispondere ai nostri bisogni, o avremo ancora un trattamento di chi ci vede come serbatoio elettorale al momento delle promesse e come figli/e di un dio minore quando si tratterà di mediare ancora al ribasso?
La presenza di esponenti dichiaratamente gay, ma esterni al movimento arcobaleno rappresenta una criticità che non va sottovalutata. Mandare gay e lesbiche in parlamento, in quanto tali, non è garanzia di bontà delle lotte da intraprendere. E se un Tommaso Cerno andrà valutato in corso d’opera, senza pregiudizi, abbiamo già visto cosa può accadere quando si dà mandato a chi non è espressione di un movimento Lgbt politicamente organizzato: la legge Scalfarotto docet.
E qui si torna alla mancata candidatura di Sergio Lo Giudice, senatore che era ed è esponente, per la sua storia politica, di quella comunità che oggi si sente nuovamente ferita e umiliata: la solidarietà dimostrata, anche dai suoi stessi avversari, ci dà la misura di un riconoscimento pressoché unanime. Viene pure il sospetto che abbia fatto un buon lavoro. Che il Pd non ne abbia tenuto conto, invece, dimostra l’inadeguatezza politica di voler dialogare con una comunità intera. Oppure, se non si vuole dare dell’incapace a Renzi, di una volontà precisa. Prospettive, entrambe, poco rassicuranti.