Ho seguito con sgomento la vicenda della 14enne di Cassino che, con un atto di coraggio di portata storica, coglie l’occasione di un tema scolastico per rivelare quello che in casa non poteva dire: il padre la stuprava da 6 mesi.
Senza processi sommari ma attenendomi unicamente a affermazioni ufficiali manifesto sdegno, dolore, collera e alcune riflessioni.
L’epilogo del suicidio del padre non risveglia in me alcuna pietà e ritengo la definizione dell’avvocato di famiglia “più triste ancora della vicenda in sé” l’ennesima violenza alla ragazza, unica parte gravemente e irreversibilmente lesa. Infatti quel suicidio senza due righe scritte (tipo: “chiedo perdono”) dimostra l’egocentrismo di un genitore che non solo invece di proteggere la figlia ne diventata l’orco, ma che (non reggendo alla vergogna?) si toglie di mezzo sigillando la propria miseria umana nell’alimentare sensi di colpa in chi ha infranto il segreto familiare, con il retromessaggio: “Vedi che tragedie quando si parla?”.
In coerenza con la narrazione familiare: “Era un rapporto sereno e tranquillo, con qualche discussione per motivi economici o per l’uso eccessivo di sostanze alcoliche, mai sfociate però in comportamenti violenti” sostiene la madre. Che però intimava alle figlie di non rimanere mai da sole con papà. Così si evitano comportamenti violenti: cosa vuoi che sia qualche episodio di stupro a una/due figlie minorenni? Sapeva che era già successo con una sorella maggiore, ma lui “aveva promesso di non farlo più”, ha spiegato la donna al gip.
Nessuna denuncia e si tiene in casa l’orco fino all’inevitabile reiterazione: le violenze sulla figlia 14enne, chiamata Giulia sui media (come farò io), che raccontò solo alla sorella per non “rovinare l’armonia familiare”. Una menzogna urlata dalla stampa cui la madre “tanto, tanto arrabbiata” (dal segreto ai giornali!) reagisce con una ritrattazione patetica dopo il suicidio del marito: “Lo stupro? Non si sapeva ancora se era vero”. Povera mamma: chissà quali gravi ragioni le impediscono ancora di difendere la figlia.
Piccola Giulia, quell’armonia familiare esisteva solo nella mente di tua mamma, per ipocrisia o negazione; ma il prezzo da pagare per mantenere la facciata era la distruzione della tua vita. Una forma feroce di violenza fisica e psicologica a cui tu ti sei ribellata.
In una famiglia non esiste serenità e tranquillità quando c’è un uomo alcolista allontanato dal lavoro per ludopatia e una donna che non sa o non può affrontare la realtà. Il suicidio dell’uomo è l’epilogo di una vita adulta fuori controllo, con voi e infine anche verso di sé: lui ha fatto tutto da solo.
Ma, cara Giulia, alla fine tu ti sei difesa. Ti sei salvata. Sei un’eroina, al pari di Franca Viola, che nel 1965, a 17 anni, fece qualcosa di impensabile prima di lei: rifiutò il “matrimonio riparatore” dopo essere stata rapita e stuprata da un rampollo della mafia locale. Il suo gesto passò alla storia segnando una svolta culturale che portò all’abolizione, nell’81, del matrimonio riparatore e culminò nel ‘96 con il riconoscimento dello stupro non più come un reato “contro la morale” ma “contro la persona“. L’8 marzo 2014 Franca Viola è stata insignita dal Presidente della Repubblica Napolitano con l’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana “per il coraggioso gesto di rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell’emancipazione delle donne nel nostro Paese”.
Cara Giulia, nemmeno Franca voleva essere un’eroina: fu il suo cuore, racconta, a suggerirle come comportarsi. Con il suo esempio lei salvò tante ragazze dall’orrendo destino del matrimonio con il proprio stupratore, proprio come la marea delle testimonianze del #Metoo di molestie sul lavoro stanno imprimendo una svolta storica su questo odioso reato.
Piccola Giulia, più piccola di Franca Viola e senza l’appoggio dei genitori che quest’ultima ebbe, anche tu, con il tuo disperato atto di autodifesa, sei stata ugualmente eroica salvando te stessa e dando un esempio da seguire a ragazzine abusate in una prigione di omertà che tu sei riuscita a rompere.
Ci vorrà tempo, ma spero che con un aiuto appropriato le ferite tanto profonde che hai subito possano guarire, in modo che tu possa essere davvero fiera di te stessa.