Non c'è solo il triplice candidatura di Maria Elena Boschi ad avvelenare gli animi dei dem sull'isola. A surriscaldare il clima sono anche gli altri nomi inseriti dal Nazareno nelle liste per il prossimo 4 marzo. Politici cresciuti nll'Udc e nell'Mpa e quella che l'ex governatore condannato per favoreggiamento alla mafia definiva come "una sua amica". Ma anche l'erede dell'ex primo cittadino di Agrigento, condannato per abuso e falso
C’è l’ex capogruppo del Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo. E poi quella che Totò Cuffaro definisce una “sua amica“. Qualche cambiacasacca di lungo corso fulminato sulla via delle Leopolda. Quindi gli immancabili “figli di“: l’erede dell’ex ministro Totò Cardinale, che ormai da dieci anni ha ricevuto in dote dal padre il seggio al Parlamento. E il rampollo dell’ex sindaco di Agrigento, già senatore del centrodestra con un nutrito curriculum giudiziario. Non c’è solo il caso di Maria Elena Boschi a surriscaladare gli animi del Pd in Sicilia. Non c’è soltanto la tripla candidatura da capolista della sottosegretaria a rendere il partito una “pentola a pressione“. Ad avvelenare gli animi dei dem, infatti, sono anche gli altri nomi inseriti dal Nazareno nei collegi per le politiche del prossimo 4 marzo.
“Le liste hanno quattro padroni” – “La composizione delle liste l’abbiamo appresa dal sito. Quelle liste hanno quattro padroni: Leoluca Orlando, Davide Faraone, Luca Sammartino e Totò Cardinale“, commentano velenosi dai vertici del partito siciliano. Dopo anni di polemiche roventi con i dem, infatti, il sindaco di Palermo ha formalizzato venerdì scorso la sua adesione al Pd, incassando subito il posto da capolista – nel collegio proporzionale della Camera a Palermo – per il fidato Fabio Giambrone. Ex senatore di Italia dei Valori, Giambrone ha ben amministrato negli ultimi anni la Gesap, che gestisce l’aeroporto del capoluogo siciliano: quella per l’adesione di Orlando al Pd, dunque, è una polemica di tipo puramente politico.
Faraone il vicerè – Diverso è il caso dei nomi blindati dal sottosegretario Faraone. Il vicerè di Matteo Renzi guida il listino per il Senato sulla sponda occidentale dell’isola. Alle sue spalle ci sono la deputata uscente, Teresa Piccione, vicina al leader di Areadem, Giuseppe Lupo, e Paolo Ruggirello, che è anche candidato all’uninominale di Marsala. Consigliere regionale di lungo corso, non rieletto alle ultime elezioni, Ruggirello è stato per anni luogotenente dell’ex governatore Lombardo, prima di finire tra i nuovi acquisti del Pd targato Faraone. Noto alle cronache era stato in passato suo padre, il ragionier Giuseppe Ruggirello, fondatore della Banca Industriale negli anni ’70, diventato ricco in modo tanto veloce da meritare addirittura un’interrogazione parlamentare che puntava a fare luce sull’origine del suo successo economico. Poi nel 1997 il nome di Ruggirello senior salterà fuori addirittura in un’inchiesta che coinvolgeva Enrico Nicoletti, cassiere della banda della Magliana. Rosario Crocetta, invece, attacca il rettore dell’università di Messina, Pietro Navarra, candidato nel collegio peloritano alle spalle della capolista Boschi. “È il nipote del capomafia di Corleone, coinvolto anche nell’omicidio di Placido Rizzotto”, dice l’ex governatore. Dura la replica del rettore: “Premetto che la mia posizione su questo argomento – prosegue Navarra – è ben nota da tempo: si parla di persone morte prima della mia nascita e ogni collegamento non può che rappresentare una volgare strumentalizzazione. Non sono, però, disposto a tollerare ulteriori attacchi su tali temi. Con estrema chiarezza, pertanto, puntualizzo che presenterò querela contro chi rilascerà dichiarazioni di questo tipo e nei confronti delle testate che daranno spazio a simili considerazioni”.
L’amica di Totò e mister Preferenza – A guidare il listino per Palazzo Madama sul versante orientale della Sicilia è invece Valeria Sudano, che nel novembre scorso non è riuscita a tornare all’Assemblea regionale siciliana, dove era entrata per la prima volta nel 2012 con il Cantiere Popolare dell’ex ministro Saverio Romano. “I miei? Il grosso è nel Pd. Una lista che non finisce più, dai più noti al sottobosco. Li ho tirati su io, come la mia amica Valeria Sudano”, aveva detto alla vigilia del voto per il referendum costituzionale l’ex governatore Totò Cuffaro, fresco di scarcerazione dopo 5 anni trascorsi a Rebibbia. Il riferimento alla deputata di Catania non era casuale, dato che Valeria Sudano è nipote di Mimmo, potentissimo ex senatore della Dc di stretta osservanza cuffariana: ora è uno dei nomi di punta del partito di Renzi. Ha seguito la stessa parabola di Luca Sammartino , ex enfant prodige dell’Udc, poi diventato renziano di stretta osservanza: alle regionali di tre mesi fa ha battuto ogni record raccogliendo più di 32mila preferenze. Ora ha ottenuto il posto sicuro per Sudano, ma si è dovuto candidare anche in prima persona all’uninominale di Misterbianco per la Camera: un seggio praticamente impossibile ma in cui è chiamato nuovamente a “pesare” la sua potenza elettorale.
Cardinale, amici e famiglia – Più o meno la stessa cosa che dovrà fare ad Acireale Nicola D’Agostino, ex capogruppo del Mpa di Lombardo all’Ars dove è stato rieletto con Sicilia Futura, lista fai-da-te dell’ex ministro Cardinale. D’Agostino è uno dei consiglieri regionali del centrosinistra che hanno votato Gianfranco Micciché come nuovo presidente del Parlamento siciliano. Scelta che ha spaccato il Pd sull’isola senza che nessuno da Roma dicesse nulla. D’altra parte Cardinale è ormai il Richelieu dei dem in Sicilia: considerato il volto del ministro Luca Lotti, gestisce la sua lista personale – costituita da numerosi ex esponenti del centrodestra – come una corrente maggioritaria del Pd nei giorni pari, e come un partito autonomo in quelli dispari. A questo giro ha ottenuto di piazzare in lista due dei suoi fedelissimi trombati alle ultime regionali: all’uninominale c’è Salvo Lo Giudice, che cinque anni fa era stato addirittura eletto con la lista di Nello Musumeci, mentre alle spalle di Sudano trova posto Giuseppe Picciolo, condannato in primo grado a due anni e sei mesi per calunnia (sentenza che sta per essere prescritta). In questo risiko di potere e poltrone poteva Cardinale pensare solo agli amici dimenticando al famiglia? Nossignore. Nonostante le polemiche, dunque, viene riconfermata come capolista alla Camera nel collegio di Gela la figlia Daniela, titolare di uno scranno a Montecitorio dal 2008. Un’imposizione che ha provocato il passo indietro di Giuseppe Provenzano, vicedirettore dello Svimez originariamente inserito alle spalle di Cardinale.
Renziani rampanti dietro Gentiloni- Ottiene la posizione numero due nel listino di Catania, invece, Francesca Raciti, presidente del consiglio comunale etneo. La sua candidatura potrebbe valere ad un seggio sicuro a Montecitorio: il capolista, infatti, è Paolo Gentiloni, candidato anche in altri collegi. Considerato uno dei volti principali del renzismo siciliano, nell’ottobre del 2016 Raciti era stata costretta a replicare alle parole usate dall’allora prefetta di Catania, Maria Guia Federico, davanti ai componenti della commissione parlamentare Antimafia. La prefetta, infatti, aveva tirato in ballo il padre di Francesca, Carmelo Raciti. “Indicato da un collaboratore di giustizia nell’ambito dell’inchiesta Iblis quale personaggio di riferimento per alcune attività lecite dei Santapaola-Ercolano. Viene indicato come imprenditore strettamente correlato a Maurizio Zuccaro, ma la cosa non ha avuto seguito”, aveva detto Federico davanti ai commissari di Palazzo San Macuto, come ricorda meridionews.it. “Mio padre – aveva detto Raciti -non ha mai ricevuto dalla magistratura nessuna comunicazione che lo riguardi, né risulta essere mai stato indagato in qualsivoglia altro procedimento per reati associativi di alcuna natura”. In effetti, come ricorda sempre il quotidiano online catanese, nelle circa 80mila pagine dell’inchiesta Iblis non è stato possibile trovare il nome del padre della consigliera comunale.
Il figlio del sindaco di destra nella terra di Pirandello – Molto più chiara, invece, è la storia giudiziaria di Calogero Sodano, ex sindaco di Agrigento e senatore del centrodestra. Per guidare l’uninominale della Camera nella città dei Templi, infatti, il Pd ha deciso di puntare su Giuseppe Sodano, giovane avvocato e figlio dell’ex primo cittadino eletto da Forza Italia. Una candidatura voluta dal Civica popolare, la lista di Beatrice Lorenzin alla quale i dem hanno ceduto il collegio agrigentino, ma che scatenato il caos nel partito. “Siamo preoccupati per le simpatie di Sodano per la destra di Nello Musumeci e la sua militanza in Generazione Futuro di Gianfranco Fini“, dicono dal Pd di Agrigento, ricordando come la famiglia Sodano abbia sostenuto il centrodestra fino alle ultime regionali. Nessuna parola, invece, sui trascorsi giudiziari di Sodano senior. Processato e assolto per concorso esterno, Sodano è stato condannato in via definitiva a un anno e sei mesi per abuso d’ufficio. Era accusato di non aver contrastato l’abusivismo edilizio quand’era sindaco. Una sentenza che ha indirittamente provocato un’altra condanna per l’ex primo cittadino: quella nove mesi per falso ideologico in atto pubblico. Nel 2006, infatti, Sodano si candidò alle regionali producendo un certificato penale che non faceva alcun cenno a quella condanna per abuso d’ufficio. Il motivo? Quella pena era stata addebitata a un suo cugino omonimo. Uno scambio di persona che potrebbe apparire curioso ovunque ma non certo nella terra di Pirandello. Dove il Pd sembra essere stato colpito dalla sindrome di Vintangelo Moscarda, il protagonista di Uno, nessuno e centomila, animato dal senso della disgregazione dell’io. Molto più banalmente a queste latitudini sembra di osservare la disgregazione di un partito.
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