L’unica funzione dell'organismo è stata quella di palcoscenico a servizio della campagna elettorale. Altri risultati non si sono visti, né avrebbero potuto vedersi dato che questo Parlamento in un’intera legislatura non ha nemmeno discusso (non dico approvato, discusso) mezza norma a tutela del risparmio
Mi si nota di più se convergo o se faccio saltare il tavolo? Nessuno ha avuto dubbi e così la farsa della relazione unitaria è stata prontamente sostituita dalla carnevalata di sette-otto relazioni diverse: quella di maggioranza, approvata con 19 voti favorevoli,15 contrari e 6 assenti, e quelle di minoranza, una (quasi) per ogni gruppo parlamentare. Si chiude così il sipario sulla Commissione d’inchiesta sulle banche, con la promessa – che agli occhi dei cittadini ha più il sapore di una minaccia – di riaprirlo nella prossima legislatura istituendo una nuova Commissione, magari permanente, dove continuare a regolare i conti rimasti in sospeso in questi anni e in questi mesi.
Conti politici, ovviamente, perché l’unica funzione che la Commissione banche ha avuto è quella di palcoscenico a servizio della campagna elettorale. Altri risultati non si sono visti, né avrebbero potuto vedersi dato che questo Parlamento – nonostante la drammaticità delle crisi bancarie che in questi anni hanno mandato in fumo i risparmi di migliaia di famiglie e sono costate miliardi di euro – in un’intera legislatura non ha nemmeno discusso (non dico approvato, discusso) mezza norma a tutela del risparmio e volta a rendere più incisiva l’azione di vigilanza. Il non aver fatto assolutamente niente nonostante tutto quello che è accaduto viene ritenuto dalla maggioranza di governo un ottimo punto di partenza per lanciare le proprie proposte di riforma, come se in questi anni avesse governato qualcun altro e non il trio Enrico Letta-Matteo Renzi-Paolo Gentiloni. Pier Ferdinando Casini, che solo pochi mesi fa definiva la Commissione banche un “impasto di demagogia e pressappochismo che, al di là delle migliori intenzioni, non produrrà nulla di buono per le istituzioni”, da presidente della stessa giudica la relazione finale di maggioranza come “seria, decisa e allo stesso tempo equilibrata, non elettorale che risponde agli obiettivi istituzionali che la commissione aveva nel suo oggetto istitutivo”. Insomma, si dà i voti e si promuove.
Giudizio opposto quello del pentastellato Carlo Sibilia secondo cui la Commissione si è chiusa nel peggiore dei modi: “Quelli che hanno firmato questa relazione sono gli stessi che hanno distrutto il sistema bancario che ci danno le indicazioni su come dover risanare la fiducia nel sistema bancario che si è persa definitivamente perché lo Stato non ha fatto lo Stato”. Eppure fino a qualche giorno fa i 5 Stelle sembravano intenzionati a convergere su un testo unitario. Più efficace, elettoralmente parlando, rispolverare la clava del conflitto d’interesse e bastonare il Pd con il caso Boschi-Etruria. Anche il vice presidente della Commissione Renato Brunetta deve aver fatto i suoi conti e prova ad alzare il tiro annunciando che se la relazione di maggioranza “è stata dichiarata da tutti insufficiente, ed è passata solo con i voti del Pd e pochi altri”, c’è la consapevolezza che “tra un mese i numeri in Parlamento saranno totalmente diversi e ricominceremo con la commissione di inchiesta sulle banche e faremo finalmente luce sulle responsabilità e soprattutto ristoreremo i risparmiatori e gli investitori truffati”. Come e con quali soldi Brunetta non lo spiega, ma intanto promette agli elettori che questo “sarà il compito del prossimo governo e del prossimo Parlamento”, assieme naturalmente all’abolizione della riforma Fornero e alla “flat tax” promessa da Berlusconi.
Anche Liberi e Uguali ha colto l’occasione per marcare la distanza dal Pd definendo la relazione Casini una relazione “di mediazione, che non entra nel merito e presenta alcune reticenze gravi rispetto al lavoro che abbiamo fatto e che doveva essere reso pubblico”. Le reticenze cui fa riferimento il partito guidato da Pietro Grasso riguardano manco a dirlo anche il caso Boschi-Etruria nel quale è risultata “evidente una continua, costante e prioritaria attenzione del governo”. Per differenziarsi dal coro delle forze politiche che quasi all’unanimità (ma sempre a parole) si dicono a favore dell’istituzione di una procura nazionale specializzata sui reati finanziari, Leu propone invece una revisione della prescrizione e si dice contraria alla superprocura. Il leader della Lega Matteo Salvini, invece, attacca a muso duro (“sulle banche Renzi e Boschi hanno svelato il loro vero volto: incapacità, un inciucio. Piazzano Casini a Bologna e la Boschi a Bolzano perché si vergognano di aver azzerato milioni di italiani e la Lega voterà contro”) ma soprattutto insiste con le promesse demagogiche in chiave anti-europea, sostenendo che “uno dei primi atti del governo Salvini (come se Salvini premier fosse davvero un’opzione sul tavolo, ndr) sarà recuperare a Bruxelles i soldi che gli italiani hanno mandato in Europa per aiutare le banche degli altri. Noi vogliamo aiutare gli italiani”.
In un teatrino in cui ognuno recita una parte in commedia, Daniele Capezzone arriva a dire che l’approvazione in Commissione della relazione di maggioranza c’è stata “grazie alle assenze di centrodestra. Vergogna”. E insinua: “Il Nazareno non finisce mai?”. Accusa prontamente rilanciata anche da Leu, da Roberto Calderoli (Lega) e dal senatore Andrea Augello (Idea) che sottolinea: “Un vero peccato che fossero assenti alla votazione il sentore Celoni, il senatore Dalì e la senatrice Savino, tutti e tre di Forza Italia. Un peccato anche più grave che la senatrice De Pin, del Gruppo Gal e quindi vicina a Forza Italia, sia dovuta improvvisamente uscire dall’aula prima del voto. Se tutto ciò non fosse accaduto la relazione Marino sarebbe stata respinta, evidenziando tutte le debolezze e le contraddizioni della maggioranza”. In realtà le cose non sono andate proprio così: gli assenti erano in totale 6, quattro del centrodestra e 2 in quota maggioranza (Camilla Fabbri del Pd e Francesco Molinari del gruppo misto). Se tutti fossero stati presenti la relazione sarebbe passata comunque con un risultato di 21 a 19. Date le presenze, se la senatrice De Pin fosse rimasta in aula per il voto, l’esito non sarebbe significativamente cambiato: anziché 19 a 15 il documento sarebbe stato approvato per 19 a 16.
Anche queste polemiche sul nulla riflettono il clima surreale con cui viene condotta la campagna elettorale nell’era del “Rosatellum”. Quanto alle banche nessuna delle indicazioni e delle proposte presenti nelle relazioni di maggioranza e minoranza sembra destinata a tradursi in fatti concreti dopo il 4 marzo, specie se il nuovo Parlamento avrà come priorità quella di rifare la legge elettorale per tornare al più presto a votare causa ingovernabilità.