A cinque mesi dai mondiali, l'ex direttore dell'agenzia antidoping russa Grigory Rodchenkov - tramite il suo avvocato - accusa il pallone di Mosca e, di conseguenza, tira in ballo anche la Fifa di Gianni Infantino, così come il Comitato Olimpico Internazionale per l'accordo che darà la possibilità agli atleti del Cremlino di partecipare alle olimpiadi invernali di PyeongChang
Dagli Stati Uniti arriva un’accusa pesante a Mosca. A muoverla è James Walden, l’avvocato dell’ex direttore dell’agenzia antidoping russa Grigory Rodchenkov: “La nazionale di calcio russa era tra i beneficiari del sistema di doping istituzionale“, dice a ilfattoquotidiano.it. Lo stesso sistema che ha portato alla parziale squalifica di atleti russi alle scorse Olimpiadi in Brasile e alle prossime in Corea del Sud. Rodchenkov ha guidato l’agenzia antidoping russa per dieci anni ed è stato l’ideatore della miscela dopante di cui hanno fatto uso oltre mille atleti russi tra il 2011 e il 2015. “Quello stesso anno, all’uscita delle prime indiscrezioni, ha capito immediatamente che la Russia lo avrebbe additato come unico responsabile”, ricorda l’avvocato Walden. “Invece è ormai chiaro a tutti che il Cremlino non solo aveva ordinato ma anche finanziato l’imponente macchina dopante russa”. Dopo aver ricevuto minacce di morte ha abbandonato il proprio Paese per trovare rifugio negli Stati Uniti, dove al momento è sotto il programma di protezione testimoni. Le indagini scaturite dalle dichiarazioni di Rodchenkov hanno portato l’Agenzia mondiale antidoping (AMA) nel 2016 a dichiarare senza dubbio alcuno che quello russo era un sistema di doping “senza precedenti, in quanto a portata”, “sistemico” e “centralizzato“. E individuava in Vitaly Mutko, allora ministro dello sport, il deus ex machina. Doping di Stato, dunque, con la connivenza degli organi esecutivi di Mosca e la partecipazione dei servizi segreti.
Incalzato su quanto detto, l’avvocato di Rodchenkov aggiunge che “dovevano essere protetti, ma al momento non posso aggiungere altro”. Se il riferimento fosse ai calciatori o alla Russia in generale, non è chiaro. Certo è che l’allusione riporta alla mente la sanzione, giudicata all’acqua di rose dal mondo dell’antidoping, comminata il dicembre scorso dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) che vieta la partecipazione alle prossime Olimpiadi invernali in Corea del Sud ai soli atleti trovati positivi dall’AMA e non alla Russia in quanto federazione sportiva. E impone l’utilizzo durante l’intera competizione olimpica di una dicitura e di una bandiera neutrali. “Sono dell’opinione che il CIO e la Russia abbiano chiuso un accordo privato che apparisse severo dall’esterno ma più che accettabile per la Russia stessa”, aggiunge a ilfattoquotidiano.it. Gli atleti russi, infatti, gareggeranno a PyeongChang con ‘Atleti olimpici di Russia‘ riportato sulle proprie divise: “Una dicitura che è tutto fuorché neutrale e probabilmente sarà anche concesso loro di partecipare alla cerimonia di chiusura sotto la bandiera del proprio Paese. La differenza tra il pugno di ferro utilizzato con il Kuwait e il guanto di velluto nei confronti della Russia è un chiaro segnale di mancanza di giustizia all’interno del Comitato olimpico internazionale”, commenta Walden.
L’eventuale coinvolgimento di calciatori russi nel doping di Stato sarebbe un colpo durissimo anche per la FIFA in vista dei prossimi mondiali. Prima, i sospetti di corruzione nell’assegnazione di quelli in Russia e Qatar. Poi, l’indagine che nel 2015 ha fatto tabula rasa della vecchia classe dirigente fino alle dimissioni di Joseph Blatter. Fin dai primi vagiti dello scandalo, il presidente della FIFA Gianni Infantino ha spesso affermato che “il caso doping russo non intaccherà i prossimi Mondiali”. L’organizzazione guidata dall’italo-svizzero punta forte su Russia 2018 per smarcarsi definitivamente da quella guidata per 17 anni da Blatter e consegnare al mondo un’immagine onesta e trasparente. La strada appare però ancora lunga e le controversie continuano ad accumularsi. Ultime in ordine di tempo sono le critiche da parte della stampa internazionale piovute addosso alla FIFA per non aver mai chiesto al dottor Grigory Rodchenkov se e come il calcio russo beneficiasse del doping di stato. Un primo tentativo di contatto è arrivato pochi giorni fa, più di dodici mesi dopo le accuse lanciate dall’AMA. “E molto tempo dopo le prime rivelazioni del dottor Rodchenkov”, precisa Walden. E prosegue: “Ho saputo che l’agenzia antidoping ha finalmente nominato un avvocato che faccia da tramite tra noi e tutte le federazioni sportive, FIFA compresa e che quest’ultima ha una lista di domande da sottoporci”, spiega Walden. E aggiunge un “no comment” sulle eventuali implicazioni in vista del Mondiale.
Lo scorso marzo la FIFA ha rimosso il magistrato svizzero Cornel Borbély dal ruolo di presidente del comitato etico. Indagava sul coinvolgimento nell’affaire doping di Vitaly Mutko, allora membro del Consiglio della FIFA oltre che ministro dello sport in Russia. Lo stesso mese, Gianni Infantino si era opposto alla rimozione di Mutko dal medesimo Consiglio. Al posto di Borbély è stata nominata la colombiana Maria Claudia Rojas. In una relazione del Consiglio d’Europa (l’organismo dell’Unione Europea per la promozione della democrazia e dei diritti umani) presentata lo scorso dicembre, vengono espressi seri dubbi sulle capacità di Rojas di ricoprire un ruolo tipicamente assegnato a un magistrato. Professione che la colombiana non ha mai svolto. Il documento auspica inoltre “un cambiamento radicale nella gestione del calcio mondiale a tutti i livelli”. A fare le valigie è toccato anche a Miguel Maduro, presidente del Comitato per la governance e la trasparenza della FIFA, allontanato lo scorso maggio senza preavviso. E proprio in questi giorni verrà presentato un libro-inchiesta firmato da una ex componente del team australiano che gareggiava per l’assegnazione dei Mondiali 2022. Secondo l’autrice, la giornalista Bonita Mersiades, la FIFA ha intascato una tangente da cento milioni di dollari dalla TV di Stato del Qatar, Qatar TV, per assegnare la Coppa del mondo al piccolo Paese del Golfo. Che le cose non girino nel verso giusto per la FIFA lo certifica anche la carenza di sponsor. Il quotidiano britannico The Mirror scrive che finora sono stati acquistati poco più di un terzo degli slot disponibili per Russia 2018. Una decisa inversione di tendenza rispetto alle edizioni precedenti della Coppa del mondo dove la stragrande maggioranza veniva acquistata almeno 18 mesi prima del calcio di inizio.
di Lorenzo Bordrero (IRPI, www.irpi.eu)