Un terzo per uno, e ciascuno con la quote classiche del Cencelli berlusconiano: l’azienda, i fedelissimi, la società civile (e a quest’ultima corrente finisce iscritta anche qualche ex aspirante Miss Italia o tronista di Uomini e Donne). Non manca, poi, l’ormai classica carica di indagati, imputati, condannati. Da chi ha una sentenza definitiva per abuso d’ufficio a chi invece si è salvato grazie alla riforma della legge sul voto di scambio. Sullo sfondo i veleni mai sopiti tra le varie “anime” del partito. È finito a notte fonda il rebus delle candidature di Forza Italia e le liste che sono uscite sul filo di lana hanno confermato la regola generale di assegnare un terzo dei posti azzurri agli uscenti, un terzo a “volti nuovi” e il resto alla storica militanza. Il minestrone però è più grande della pentola a pressione. Che ha rischiato di scoppiare quando Nunzia De Girolamo è stata costretta a volare ad Arcore per salvare il suo seggio. Nella notte, infatti, in Campania il partito l’aveva piazzata – a sorpresa – come seconda in lista. Lo sfogo con Silvio Berlusconi ha avuto effetto: la parlamentare, rinviata a giudizio nel settembre 2016 per associazione a delinquere finalizzata alla concussione e al voto di scambio, è capolista in Emilia.
De Girolamo – Carfagna: donne che odiano le donne – In pochi istanti, dunque, la politica di Benevento ha dovuto aggiornare i suoi comunicati con i riferimenti adatti alle città che dovranno eleggerla. “Sono onorata e felice di poter servire i bolognesi e gli imolesi in questa campagna elettorale”, dice in mattinata. Pare già di vederla a passeggio sotto le due torri. Diverso il tono riservato ai colleghi di partito che avrebbero ordito il complotto ai suoi danni, cancellandola nottetempo con un rapido tratto di penna dalla posizione di capolista in Campania. “Quella notte a raccogliere le liste c’erano De Siano, Cesaro, Paolo Russo e mi spiace molto dirlo, ma c’era anche Mara Carfagna. Io non posso accettare che esista un metodo di donne che odiano le donne. Mi aspetto che lei prenda le distanze da questa classe dirigente, perché lei è una donna diversa”, ha detto De Girolamo a L’aria che tira su La7, aprendo il fuoco contro l’ex ministra e chiedendo il commissariamento del partito in regione. “Quello che forse qualcuno non sa nel mio partito è che c’è sempre una manina che fa girare quelle liste, ed io l’avevo vista con i miei occhi. Chiedo quindi a Silvio Berlusconi di dare una punizione a chi si è permesso di fare una cosa così ignobile“. Dopo aver salvato De Girolamo con un seggio in Emilia, però, difficile che da Arcore decidano di azzerare il partito in Campania a un mese dal voto.
Veleni azzurri e scontri morbidi (col Pd) – La situazione non è migliore in Basilicata dove il coordinatore vicario Dina Sileo denuncia il “mercato delle vacche che avrà esiti infausti”. Contestazioni anche in Puglia – a Lecce, ad esempio, dove si scontrano direttivo e coordinatore locale – ma pure in Liguria con Giovanni Toti rimasto a secco di posti per i suoi fedelissimi. In Abruzzo qualche malumore è provocato dal nome di Antonio Martino, imprenditore candidato all’Aquila ma considerato renziano perché tre anni fa partecipò alla Leopolda. Per la verità, però, da Arcore non sembrano considerare il Pd di Matteo Renzi come il vero nemico di queste elezioni. Berlusconi non perde alcuna occasione per lanciare offese contro il Movimento 5 stelle – “Sono più pericolosi dei comunisti nel 1994″ – mentre molto più sobrio è l’atteggiamento tenuto dall’ex premier nei confronti dei dem. Con il rischio – più che probabile – che dalle urne non esca alcuna coalizione con la maggioranza dei seggi, Forza italia schiera dunque fedeli figure di riferimento, uomini azienda e dirigenti di partito pronti, all’occorrenza, a repentini cambi di rotta. Si spiega forse così la decisione di non impegnare i colonnelli di partito nelle sfide con i big dem. Sarà, per esempio, Luciano Ciocchetti a sfidare Paolo Gentiloni al collegio di Roma 1, mentre al Senato la risposta ad Emma Bonino è l’assai meno noto Federico Ladiciccio. “Io con Berlusconi ci ho già governato”, diceva pochi giorni fa l’esponente radicale a chi le chiedeva dell’ipotesi larghe intese dopo il 4 marzo. A Bologna è chiamata a “sfidare” Pier Ferdinando Casini – storico alleato dell’ex cavaliere, presidente della Camera nel lunghissimo secondo governo Berlusconi – tal Elisabetta Brunelli. A Pesaro, per dirne un’altra, il centrodestra contrappone al ministro Marco Minniti l’imprenditrice Anna Maria Renzoni.
Il ritorno del partito azienda – Nelle retrovie, invece, si consumano gli aggiustamenti per il resto. E allora ecco le quota del partito-azienda: dentro tutto l’apparato politico comunicativo di Arcore, da Sestino Giacomoni a Licia Ronzulli a Valentino Valentini. Finisce in lista anche Paolo Zangrillo, fratello del medico di Berlusconi. Non passa Antonio Razzi, neppure per la circoscrizione Europa che sembrava l’ultima spiaggia mentre viene ripescato Domenico Scilipoti che si accontenta di un posto molto insicuro al proporizionale di Foggia. In Abruzzo viene ripescato Gianfranco Rotondi – il leader di Rivoluzione Cristiana che ha fatto scendere in campo 50 donne per Berlusconi – mentre da lì al Lazio viene spostato il nipote di Bruno Vespa, Andrea Ruggeri. Posto d’onore ovviamente per i fedelissimi del presidente. Premiata con un seggio al Senato è Gabriella Giammanco, candidata a Messina che dunque entrerà a Palazzo Madama a 40 anni appena compiuti. È stata catapultata nella città dell’ex cavaliere, invece, Cristina Rossello, collegio Milano 1 per la Camera. Oltre a un impegno nel sociale a favore del ruolo delle donne nell’economia ha soprattutto il merito di aver curato la separazione in sede civile tra il leader e Veronica Lario, contribuendo a far azzerare in appello l’assegno di mantenimento da 45 milioni. Tempo due mesi e l’artefice del miracolo tanto prezioso ottiene un posto da capolista nel collegio storico di Silvio. Anche perché l’avvocata ha alle spalle una lista infinita di incarichi pesanti: dal cuore di Mediobanca a Mondadori, a Veneto Banca, fino alla partita dei diritti sulle partite di Serie A, nella quale ha vestito i panni del legale della Lega Calcio.
La società civile di B – Viene probabilmente inserita nella corrente “società civile” anche Matilde Siracusano, ex aspirante Miss Italia nel 2005, capolista al proporzionale in Sicilia per Camera e considerata vicina all’ex ministro Antonio Martino. Potrebbe addirittura ambire ad un posto da ministro della giustizia, invece, Giusi Bartolozzi, magistrato e compagna del vice presidente della Regione Siciliana, Gaetano Armao. Sarà lei la capolista nel collegio di Agrigento nel listino di Forza Italia. Prende il posto Ylenia Citino, ex tronista di Uomini e Donne, che in pochi minuti è stata spostata dalla regione più a sud d’Italia al numero due del collegio di Bollate, in Lombardia.
Imputati, indagati e condannati – Poi, ovviamente, c’è la solita carica di indagati, imputati, condannati. Persino in via definitiva come Antonino Minardo, rampollo di una famiglia di petrolieri e politici, capolista nel listino di Acireale per la Camera, condannato a 8 mesi per abuso d’ufficio. A Barcellona Pozzo di Gotto c’è Maria Tindara Gullo, ex Pd entrata in Forza Italia al seguito di Francantonio Genovese, già condannato in primo grado a 11 anni di reclusione nel processo sui corsi di formazione regionale, e padre di Luigi Genovese, deputato regionale all’Ars dallo scorso autunno e già indagato. È indagato per voto di scambio alle regionali campane del 2015, Luigi Cesaro, alias “a purpetta“, l’ex presidente della provincia di Napoli. Aveva deciso di ritirarsi per mandare avanti il figlio ma alla fine si è ricandidato al Senato. Indagato con lui c’è Flora Beneduce, consigliera del partito azzurro in regione Campania e ora piazzata all’uninominale sempre per Palazzo Madama.
“I figli di”- In Sicilia è candidata anche Elisabetta Formica, figlia di Santi, ex deputato e assessore regionale, recentemente indagato perché aveva provato a blindare il suo patrimonio per evitare che la Procura regionale della Corte dei conti lo aggredisse dopo una sentenza di condanna. Condannata in primo grado per una vicenda legata all’ex Ente fiera di Messina è Urania Papatheu, da sempre vicina a Gianfanco Miccichè. Il coordinatore del partito azzurro sull’isola ieri aveva detto di ritenersi “assolutamente insoddisfatto dalle liste”. Il motivo? “Per la prima volta – dice – mi hanno mandato troppa gente da fuori. Non era mai successo prima, si vede che sono invecchiato”. Mistero su quali siano i candidati “mandati da fuori” al viceré di Berlusconi sull’isola ma di sicuro non è un nome segnalato dall’alto quello di Andrea Mineo, inserito al secondo posto nella lista degli azzurri ad Agrigento. Figlio di Franco, ex consigliere regionale condannato nel giugno del 2014 a otto anni e due mesi in primo grado per intestazione fittizia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra, anche il giovane Mineo è finito intercettato nell’inchiesta su suo padre mentre offendeva magistrati e politici. “Figli di pulla“, li chiamava. La sua candidatura entra invece nella corrente interna a Fi dei “figli di”. E basta.
Gli uomini della “quarta gamba” – Diverso il discorso per i candidati di Noi con l’Italia, la quarta gamba del centrodestra che punta a portare in Parlamento una pattuglia di deputati utili alla causa. In Puglia – dove il partito è guidato dall’ex governatore Raffaele Fitto – all’uninominale per la Camera c’è Vittorio Zizza, indagato per corruzione. A guidare il partito in Sicilia, invece, c’è l’ex ministro Saverio Romano, processato e assolto per concorso esterno, candidato sia nel listino che all’uninonimale. Capolista a Catania è Giuseppe Lombardo, nipote di Raffaele, l’ex governatore condannato in appello per voto di scambio. Lo stesso reato contestato in passato all’ex europarlamentare dell’Udc, Antonello Antinoro, inserito al numero due nel proporzionale a Palermo per la Camera. Soprannominato Mister Preferenza, perché veniva eletto in consiglio regionale sempre con almeno 20mila voti, Antinoro è stato condannato in primo grado a due anni e mezzo per corruzione elettorale, e poi a sei in appello quando viene riconosciuto colpevole di voto di scambio politico mafioso. Per la procura aveva stetto un accordo con alcuni esponenti di Cosa nostra: 3mila euro in cambio di 60 voti. Nel 2014, però, la Cassazione annulla tutto. Il motivo? Nel frattempo era stata approvata la nuova legge sul voto di scambio. Una riforma, spiega la Cassazione, che ha introdotto “un nuovo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice” che rende, rispetto alla versione precedente, “penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato concrete modalità mafiose di procacciamento voti”. Per essere condannati, in pratica, occorre la piena consapevolezza “di aver concluso uno scambio politico elettorale implicante l’impiego da parte del sodalizio mafioso della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori”. Tradotto: non basta ottenere voti dalle cosche per essere colpevoli. E infatti nel nuovo processo d’appello l’accusa di voto di scambio per Antinoro torna a essere corruzione elettorale, che nel frattempo si è prescritta. Una sentenza diventata definitiva nel marzo scorso. E adesso il politico spera di strappare un biglietto per Montecitorio.