Disastro ferroviario colposo. È l’imputazione per la quale sono state inviate le iscrizioni nel registro degli indagati ai vertici di Trenord (50% FNM e 50% FS) e di RFI (100% FS). Parte così un’indagine che si preannuncia lunga e complessa, dove è iniziato lo scaricabarile sulla responsabilità dell’accaduto tra Rfi (binari) e Trenord (vagoni e carrelli). Carrelli o binari logori, la dinamica dell’incidente fa pensare che sotto accusa sarà la carenza manutentiva di un sistema che non riesce a reggere una quantità di treni comunque normale e una regolarità della circolazione nettamente sotto gli standard europei.
Per “reggere” un numero medio di 220 treni giornalieri sulla tratta Milano-Treviglio – e complessivamente 2.200 treni sui 1.900 km di rete lombarda – il sistema è sotto stress perennemente. Le pesanti falle organizzative e gestionali sono evidenti ai pendolari, ma non ai manager, i quali continuano a elargire ed elargirsi premi e bonus a prescindere dai riscontri produttivi. I pendolari condannati ad un pessimo servizio si sono organizzati in ben 25 comitati su 17 linee regionali (in otto linee vi sono addirittura due associazioni distinte).
Nonostante tali deludenti prestazioni della rete (RFI) e del vettore (Trenord) e il “fiume” di risorse statali e regionali trasferite a entrambi, il tempo sembra essersi fermato e le ferrovie lombarde e nazionali appaiono come 40 anni fa, irriformabili.
Contrariamente a quanto si crede, le risorse sono in crescita costante, insomma non c’è un problema di denaro per la gestione (spesa corrente). A Trenord nel decennio 2001-2011 i trasferimenti sono cresciuti del 61%, mentre l’offerta di servizi meno del 30% (dati Legambiente).
Ma dove finiscono questi soldi se i risultati sono questi? Si sa che la manutenzione dei treni non brilla in casa Trenord non solo per l’alta età media dei treni (come quello deragliato a Pioltello) visto le costosissime esternalizzazioni della manutenzione dei rotabili alle case costruttrici. Qualche giorno fa abbiamo appreso dalle dispendiose pagine pubblicitarie dei giornali che il gruppo Ferrovie Nord Milano (FNM) ha cambiato marchio: “Cambiano i tempi. Cambia il nostro marchio. Un segno visivo tangibile della nostra identità proiettata verso le novità, la comunicazione e la condivisione (cfr obiettivi certamente compresi dai clienti)”. Se avessero comunicato anche qualche nozione di safety per i passeggeri (come e quando usare i freni di sicurezza in treno) sarebbe stato assai meglio, anziché pubblicizzare la spesa e-commerce in treno.
Abbiamo anche appreso del matrimonio dell’anno (dicasi concentrazione monopolista) del gruppo FS con Anas, che mette insieme due zoppi, trasformando il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in un risorto ministero delle partecipazioni statali piuttosto che un soggetto che pianifica e vigila sul comparto; un doppione del Ministero dell’Economia.
Pensando a quella discussa tavoletta di legno sotto il “giunto” ed ai continui rinvii della manutenzione della rete per carenze di organico di operai e tecnici specializzati viene da sorridere leggendo il comunicato che spiega la fusione tra i due colossi pubblici, Anas e Ferrovie. “Integrazioni operative saranno possibili per la diagnostica predittiva (?!). RFI e Anas condivideranno i sistemi (laser scanner, droni) di controllo e sicurezza strutturale”.
Le attenzioni di FNM e FS sono sbilanciate verso nuove acquisizioni societarie all’estero e in Italia rischiando così di perdere di vista la loro missione principale, il trasporto di passeggeri e merci in massima sicurezza. Non solo, ma una contabilità opaca non permette di valutare quante risorse sono state distolte dalla “mission” principale alle nuove acquisizioni che diventano specchietti per le allodole. Alcune scriteriate, costose (le ferrovie greche) e prive di valenza industriale.