Tim, Fastweb, Wind-3 e Vodafone non hanno alcuna intenzione di rinunciare spontaneamente a 1,2 miliardi l'anno, contrariamente a quanto si aspettavano i consumatori. E in sede legislativa l'esecutivo non si è sbilanciato. In compenso ora un gruppo di parlamentari dem tira in ballo Agcom e Antitrust con un esposto
Sulle bollette a trenta giorni il governo di Paolo Gentiloni ha tentato di far bella figura senza spender nulla. Ma, in realtà, è riuscito solo a scatenare il caos fra gli utenti con il decreto fiscale che ha sancito la fine della fatturazione a 28 giorni. Se è vero infatti che l’esecutivo ha imposto agli operatori il ritorno alle bollette su base mensile, è altrettanto vero che non si è però sbilanciato sul tema dei rimborsi relativi a quanto in passato pagato in più dai clienti né sugli aumenti tariffari che peraltro sono in regime di libero mercato.
Il risultato di questa operazione è una giungla in cui gli operatori si dicono pronti a ridurre da tredici a dodici il numero di bollette senza però ritoccare al ribasso le tariffe annuali. Le più importanti compagnie telefoniche Tim, Fastweb, Wind-3 e Vodafone non hanno infatti alcuna intenzione di rinunciare spontaneamente a 1,2 miliardi l’anno (l’8,6% del fatturato dell’intera industria) contrariamente a quanto invece si aspettavano i consumatori. Tanto meno sembrano intenzionate ad effettuare i rimborsi per gli aumenti illegittimi del passato come vorrebbero le associazioni dei consumatori. A complicare la situazione ci sono poi pratiche non sempre trasparenti. Un caso? Wind Tre che sta comunicando ai clienti il ritorno alla fatturazione a un mese senza tuttavia entrare nel merito degli aumenti. Insomma, la confusione domina il mercato delle telecomunicazioni italiane. Con la possibilità concreta peraltro che il caos aumenti in vista della scadenza del 4 aprile, data ultima entro cui le compagnie dovranno tornare alla fatturazione a 30 giorni.
In questo contesto, poi, un gruppo di parlamentari dem, cioè della maggioranza di governo (Alessia Morani, Simona Malpezzi, Stefano Esposito, Alessia Rotta), ha pensato bene di presentare un esposto all’Agcom e all’Antitrust “in modo da impedire che le compagnie facciano cartello e aumentino le tariffe, a totale discapito di consumatori ignari dei loro giochetti”. Meglio sarebbe stato ovviare al problema in sede legislativa invece che coinvolgere in partita e all’ultimo round le autorità di vigilanza. Soprattutto sul tema dei rimborsi per gli incrementi di prezzo del passato. Nel decreto fiscale, infatti, l’esecutivo si è solo preoccupato di inserire la possibilità di fissare un “indennizzo forfettario pari a 50 euro, in favore di ciascun utente interessato dalla illegittima fatturazione” per i casi successivi alla scadenza del 4 aprile 2018. Su quanto accaduto prima, il legislatore non si è espresso. Con il rischio concreto che le attese di indennizzo dei consumatori svaniscano nel nulla. Dopo le elezioni però.
E soprattutto senza che, come ha chiesto il Movimento dei Consumatori, il governo si sia messo a tavolino per discutere del futuro delle telecomunicazioni italiane strette. L’argomento è del resto molto delicato perché i prezzi in Italia sono da tempo in flessione (-17% fra il 2010 e il 2016, dati Agcom) e, secondo le compagnie mettono a rischio gli investimenti per via dei margini sempre più risicati. Inclusi quelli per l’asta 5G promessa dal ministro Padoan a Bruxelles.
Aggiornato da Redazioneweb il 31/01/2018 alle 17.30