Il maggiore dei carabineri, sotto indagine per depistaggio e interdetto per un anno, parla ai cronisti al termine dell'interrogatorio di garanzia: "Il 7 dicembre 2016, Roberto Bargilli, autista del camper di Matteo Renzi, chiamò l’imprenditore Carlo Russo invitandolo per conto di Tiziano Renzi a non chiamare più 'il babbo'. Eravamo in tre a sapere che era intercettato"
“Non ho taroccato nessuna informativa su Tiziano Renzi. Ma chi lo avvertì che aveva il telefono sotto controllo?”. È la domanda posta dal maggiore Gianpaolo Scafarto ai cronisti che gli chiedevano un commento alla fine dell’interrogatorio di garanzia legato al provvedimento di interdittiva con il quale è stato sospeso dal servizio per un anno. “In questa vicenda restano ancora tante domande”, dice il carabiniere che insieme ai colleghi del Noe era titolare dell’indagine sul caso Consip, nella quale il padre dell’ex presidente del Consiglio è indagato per traffico di influenze.
Quali sarebbero queste domande legate all’indagine? Una, sostiene Scafarto, è quella relativa “alla chiamata che il 7 dicembre 2016, Roberto Bargilli, autista del camper di Matteo Renzi, fece all’imprenditore Carlo Russo invitandolo per conto di Tiziano Renzi a non chiamare più ‘il babbo’. Per questo motivo il militare si chiede: “Chi ha avvertito Renzi senior che aveva il telefono sotto controllo?”. Le captazioni della procura di Napoli sul telefono del padre del segretario del Pd sono iniziate il 5 dicembre. La telefonata di Bargilli, quindi, arriva 48 ore dopo l’inizio delle intercettazioni telefoniche.
Secondo le dichiarazioni dell’ex ad di Consip Luigi Marroni, che ha recentemente consegnato uno scambio di mail con Tiziano Renzi ai magistrati romani, in precedenza c’erano state altre quattro fughe di notizie veicolate dall’allora sottosegretario Luca Lotti, dal manager di Publiacque Firenze Filippo Vannoni, dal comandante toscano dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia e dal comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette. Sono le quattro persone dalle quali l’ex numero uno della centrale acquisti della pubblica amministrazione sostiene di aver saputo delle cimici nel suo ufficio.
Ad essere a conoscenza delle intercettazioni a carico di Renzi senior, secondo Scafarto, erano in tre: “Il sottoscritto, il pm Henry John Woodcock e un maresciallo e io posso dire di non avere rivelato alcun segreto. Noi non ne parlammo con nessuno: chi ha dato quella informazione? Io aspetto una risposta”, dice il militare, che è sotto inchiesta per depistaggio, falso e rivelazione del segreto d’ufficio proprio in relazione al caso Consip. In un atto d’indagine, il carabiniere ha attribuito la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” ad Alfredo Romeo, l’imprenditore ora in carcere percorruzione. In realtà a pronunciare quella frase (senza che si riferisse a Tiziano Renzi) era stato l’ex parlamentare Italo Bocchino, anche questi indagato per traffico di influenze. Scafarto, dichiarandosi “provato” dalla vicenda, ribadisce di non aver “mai taroccato” alcuna informativa. “Anzi – specifica- ricordo una volta di aver corretto quanto verbalizzato da un mio collaboratore che attribuì erroneamente a Marco Carrai (vicino alla famiglia Renzi, ndr) una conversazione riconducibile invece ad altro soggetto”.
Il 19 dicembre scorso la procura di Roma ha chiesto al giudice per le indagini preliminari Gaspare Sturzo altri sei mesi di tempo per indagare sui filoni principali dell’inchiesta. La richiesta riguarda 12 persone finite sotto inchiesta: il ministro Luca Lotti, il generale dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia, l’imprenditore Carlo Russo, il comandante dell’Arma Tullio del Sette, l’imprenditore Alfredo Romeo, Italo Bocchino, l’ex ad di Consip Domenico Casalino, Francesco Licci, Silvio Gizzi, Tiziano Renzi, il presidente di Publiacqua Filippo Vannoni e l’ex presidente di Consip Luigi Ferrara.
Nel motivare la richiesta di proroga, gli inquirenti affermano che per quanto attiene il filone sulla fuga di notizie sono “tuttora in corso le attività istruttorie volte a ricostruire la catena di comunicazione all’interno della struttura gerarchica dell’Arma, così come i contatti tra le persone che legittimamente erano a conoscenza dell’indagine e gli indagati”.