Anche i ricchi pensano? Se così fosse, l’annuale vertice dei potentati economici e nababbi vari in programma a Davos dovrebbe prendere in seria considerazione il tema delle disuguaglianze globali che si sta rivelando una nuova mina sullo sviluppo del pianeta.
Tutto lascia però intendere che il disastro sociale e ambientale in corso non preoccupi più di tanto lorsignori. Eppure non si tratta solo di giustizia, ma anche di economia e di qualità della vita per tutti, non solo per la crescente massa di poveri che insostenibili condizioni di vita spingono a migrare ovvero costringono a condurre esistenze non degne di esseri umani, anche nelle metropoli del capitalismo.
Tale deplorevole indifferenza risulta confermata dall’andamento degli indici borsistici statunitensi, che sembrano andare a gonfie vele nonostante i proclami e le decisioni di Trump che con le sue scellerate politiche fiscali di sgravi generalizzati nei confronti dei ricchi e dei profitti alimenta la crescita delle disuguaglianze e sabota ogni possibilità di intervento pubblico. In altri termini Trump riceve il consenso dei padroni del vapore e delle borse-valori perché rappresenta in modo adeguato gli spiriti animali del capitalismo allo stato puro.
Altro discorso ovviamente è quello se le ricette trumpiane costituiscano una ricetta adeguata per il futuro del pianeta. E qui la risposta non può evidentemente che essere radicalmente negativa. Non solo tali ricette sono inadeguate ma preparano il terreno per future catastrofi sociali e ambientali, come dimostrato fra l’altro anche dal tentativo dell’attuale amministrazione statunitense di silurare gli accordi sul clima, di per sé d’altronde insufficienti a contrastare il degrado climatico, e dai focolai di guerra che l’amministrazione Trump sta preparando e favorendo in ogni parte del pianeta, dal Venezuela alla Palestina, dall’Iran alla Corea.
Dal Rapporto Oxfam 2018 emerge in effetti un quadro sconfortante. Ogni due giorni si registra la “nascita” di un nuovo miliardario, mentre la metà più povera della popolazione mondiale non ottiene alcun miglioramento e continua a dibattersi nella povertà, se non nella miseria più nera. Le cause sono arretramenti con un netto segno di classe sia nell’ammontare dei salari che nell’andamento del prelievo fiscale. Dilagano i lavoratori poveri e ritorna, alla grande, la schiavitù.
La nostra piccola provincia dell’Impero che risponde al nome di Italia segue ovviamente i trend dominanti, come dimostrato dalle deplorevoli attività e iniziative di tutti gli ultimi governi in materia. Risultato: è che alla metà dello scorso anno il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta, il successivo 20% ne deteneva il 18,8% e il 60% più povero appena il 14,8%.
Situazione mostruosamente sperequata che praticamente tutte le principali forze politiche si propongono oggi di peggiorare ulteriormente, non senza condire i propri scarsamente credibili programmi di soluzioni miracolistiche che non indicano possibili cespiti cui attingere per realizzare i loro obiettivi. Andiamo dalla flat tax di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini all’elogio di Luigi Di Maio al programma fiscale di Donald Trump, alla riduzione della pressione fiscale di cui parla il programma del Pd. Se non è aria fritta è apertamente la volontà di far pagare sempre meno i ricchi, ribadendo la fiducia nei confronti del trickle effect (balzana teoria secondo la quale se i ricchi ingrassano anche i poveri ne beneficiano) che la realtà si è incaricata di smentire definitivamente da molto tempo.
Scarsi riferimenti, inoltre salvo qualche riferimento positivo nel programma dei Cinquestelle (come tali riferimenti si possano conciliare con le esternazioni filotrumpiane di Di Maio rientra fra i misteri dolorosi del grillismo) al problema cruciale del debito, alimentato dalle politiche dissennate di acquisto di fallimentari derivati e dalla permanente subordinazione delle casse pubbliche ai creditori privati. In conclusione, fra i vari schieramenti in lizza il 4 marzo solo quello di Potere al popolo chiede con chiarezza e in modo esplicito l’imposta patrimoniale, il ripristino della progressività del sistema fiscale, la lotta all’evasione fiscale a partire da quella delle multinazionali e l’audit del debito pubblico.
L’alternativa è sempre più quella fra la miseria e la schiavitù, tristi realtà che riguardano sempre maggiori parti della popolazione mondiale, da un lato, e la lotta contro un sistema iniquo di sfruttamento basato sui diabolici meccanismi della finanza dall’altro. Anche le elezioni del 4 marzo saranno un momento di tale lotta, ma solo un momento.