La caccia continua. Il Giappone sarebbe sul punto di ammodernare la propria flotta di baleniere. Due indizi, in questo caso, fanno una prova. Il primo: l’agenzia della pesca, organizzazione afferente al ministero dell’agricoltura, delle foreste e delle risorse marine, ha richiesto al governo l’inserimento di circa 900mila euro nel budget annuale per uno studio sul futuro della pesca commerciale di balene. Lo studio prenderà in considerazione anche eventuali lavori di rinnovamento della flotta baleniera. Il secondo indizio lo dà la stampa giapponese. Il primo quotidiano nazionale per diffusione, lo Yomiuri Shimbun, molto ben collegato con gli ambienti governativi, dà per certo l’acquisto di una nuova nave o la ristrutturazione di una usata che sostituisca la Nisshin maru. E, a giudicare dalla somma — piuttosto consistente per un “semplice” studio scientifico — richiesta dall’agenzia della pesca giapponese, non a torto.
Al centro delle preoccupazioni dei funzionari del governo di Tokyo c’è la Nisshin maru, dalla fine degli anni ‘80 la nave madre della flotta giapponese per la caccia alle balene nell’Antartico, e oggi considerata vecchia. “Tra le varie idee – ha spiegato un funzionario dell’agenzia all’Agence France-Presse – quella di allungarle la vita (riparandola), sostituirla con una nave usata o comprare una nave nuova”. La nave ammiraglia è partita a novembre per l’Antartico con altre quattro baleniere per una missione lunga quattro mesi che prevede l’uccisione di 333 cetacei — in prevalenza balenottere minori. La missione, nominalmente “scientifica”, ha uno scopo preciso: studiare i comportamenti e la biologia delle balene.
Al momento Tokyo nega di voler cambiare la propria politica di limitazione della caccia alla balena. Il paese asiatico ha infatti firmato la moratoria sulla caccia alla balena dell’International Commission in Whaling. Tuttavia, grazie ad alcune scappatoie legali, consente alle sue baleniere di cacciare a fini di “ricerca scientifica”. L’intento, per niente nascosto, è di dimostrare che la pesca a fini commerciali può essere sostenibile senza impattare sul rischio di estinzione dei cetacei.
Tuttavia, su questo punto si gioca proprio la condanna delle organizzazioni internazionali per la tutela dell’ambiente e delle balene, come Greenpeace e Sea Shepherd, che negli ultimi anni si sono rese protagoniste di azioni dimostrative contro le battute di caccia. Nel 2008 un’indagine di Greenpeace Japan aveva portato a galla un giro di corruzione legato proprio alla carne di balene uccise a scopi “scientifici”. Alcune partite di carne di cetaceo erano state donate probabilmente da funzionari dell’agenzia della pesca a membri degli equipaggi delle baleniere che avrebbero poi rivenduto la stessa carne sul mercato nero a prezzi maggiorati. La carne di balena è infatti considerato un bene alimentare pregiato, la cui domanda però sarebbe in calo dall’inizio degli anni Duemila.
Paradossalmente, dopo la denuncia di Greenpeace al governo, a essere messi sotto inchiesta furono gli autori della scoperta, tra cui Junichi Sato, allora direttore della ong in Giappone. Alla condanna delle ong si è aggiunta quella di parte della comunità internazionale. Nel 2014, la corte di giustizia dell’Onu ha ordinato a Tokyo la sospensione delle battute di caccia dopo aver giudicato insoddisfacenti i risultati scientifici ricavati dalle precedenti battute di caccia. A seguito della sentenza Tokyo ha deciso di fermare le baleniere per il biennio 2014-15, per poi dare un nuovo via libera — sempre a scopi “di ricerca” — nel 2016. Appena a dicembre 2017, anche l’Unione europea insieme a la altre dodici nazioni, ha preso posizione contro il Giappone sulla caccia alle balene.