Sognare è lecito. Anche nella Chiesa. C’è chi sognava da tempo un Papa come Jorge Mario Bergoglio: pauperista e attento agli scartati del pianeta. C’è chi, invece, soprattutto nelle gerarchie ecclesiastiche, sogna che questo pontificato sia archiviato rapidamente e che resti soltanto come una parentesi nella bimillenaria storia della Chiesa cattolica. C’è ancora chi, come il popolo di quell’Argentina che ha dato i natali a Bergoglio, sogna un viaggio del Papa nella sua patria. Un vero e proprio miraggio dopo ben cinque anni di pontificato e mentre Francesco, dalla fine dell’agosto scorso, non ha ancora nominato il nunzio apostolico in Argentina.

Anche i santi sognano. Lo sa bene don Giovanni Bosco, il fondatore dei salesiani, e non solo perché ha fatto davvero sognare in grande migliaia di ragazzi di ieri e di oggi. Ma perché è stato un vero e proprio “sognatore”. Lo dimostra un pregiato volume che riunisce i contributi di un gruppo autorevoli studiosi, coordinati dal teologo salesiano don Andrea Bozzolo. Il testo si intitola “I sogni di don Bosco. Esperienza spirituale e sapienza educativa” (Las).

“Un fondamentale motivo che giustifica questa indagine – spiega il curatore del volume di ben 600 pagine – consiste nel fatto che don Bosco stesso ha attribuito ad alcuni dei suoi sogni una valenza ispiratrice e, in vari modi, se n’è lasciato guidare”. Prima di fare dei sogni un’originale “formula educativa”, come ha evidenziato saggiamente il giovane studioso salesiano Antonio Carriero, il santo dei giovani ha lasciato trascorrere molti anni. Si è deciso soltanto dopo essere stato ripetutamente sollecitato da Pio IX.

Il volume offre un accesso privilegiato al mondo interiore di don Bosco che difficilmente si può ritrovare negli altri suoi scritti. Il santo, infatti, era poco incline a parlare di sé e molto sobrio nel confidare le dinamiche del proprio animo. Eppure i racconti dei suoi sogni fanno eccezione. Mentre li rende noti, infatti, don Bosco non può fare a meno di mettere a nudo il proprio cuore, di lasciare intravedere il ricco mondo delle sue emozioni: la paura che lo coglie di fronte alla sua missione, lo sgomento di fronte alle difficoltà, l’istintivo atteggiamento di difesa di fronte a un compito che lo supera, l’angoscia con cui reagisce alla vista del peccato, così come la percezione della sua influenza positiva sulle vicende ecclesiali e sociali della sua epoca.

Come ha ricordato Francesco, “don Bosco è sempre stato docile e fedele alla Chiesa e al Papa, seguendone i suggerimenti e le indicazioni pastorali”. Da qui il monito di Bergoglio a non “dimenticare quelli che don Bosco chiamava i “ragazzi di strada”: questi hanno tanto bisogno di speranza, di essere formati alla gioia della vita cristiana”. Un invito concreto “a uscire, ad andare sempre di nuovo per trovare i ragazzi e i giovani là dove vivono: nelle periferie delle metropoli, nelle aree di pericolo fisico e morale, nei contesti sociali dove mancano tante cose materiali, ma soprattutto manca l’amore, la comprensione, la tenerezza, la speranza. Andare verso di loro con la traboccante paternità di don Bosco”.

In una Chiesa dove purtroppo non mancano, in tutto il mondo, continui scandali che feriscono in modo indelebile bambini e giovani, l’insegnamento che viene dalla vita del fondatore dei salesiani può sicuramente essere di grande aiuto per purificare seminari, presbiteri, parrocchie e diocesi. Non a caso alla base del “sistema preventivo” di don Bosco c’è un profondo amore per i giovani, chiave di tutta la sua opera educativa. Come amava ripetere, infatti, “la sottrazione di benevolenza è un castigo che eccita l’emulazione”. Una lezione più che mai attuale anche in abito laico.

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