Il tribunale civile di Firenze, con ordinanza del giudice Giuseppina Guttadauro, ha respinto come “inammissibile“, per mancanza dei requisiti di “urgenza e di strumentalità cautelare”, il ricorso presentato contro il Rosatellum dal deputato Massimo Artini (ex M5s, ora Alternativa Libera). Di fatto è un via libera alla nuova legge elettorale. E’ la prima decisione su tre ricorsi presentati per sollevare le questioni di costituzionalità per il Rosatellum. Già oggi si terrà un’udienza analoga al tribunale dell’Aquila, mentre è attesa la fissazione della discussione davanti ai giudici civili di Roma.
Il ricorso di Artini, preparato dall’avvocato Paolo Colasante di Roma, mirava a un intervento “cautelare” sul voto del 4 marzo da parte della Corte Costituzionale. Intervento che fosse tale da bloccare o comunque “mitigare” gli effetti della legge elettorale. Tuttavia, secondo l’ordinanza di rigetto del giudice di Firenze il ricorso è “inammissibile per mancanza del requisito di strumentalità della tutela cautelare richiesta, in quanto la remissione anticipata nel giudizio ante causam della questione di incostituzionalità non è funzionale a impedire la temuta lesione del diritto a votare in conformità alla Costituzione, né ad evitare il mantenimento di un organo parlamentare eletto sulla base della normativa censurata, sino all’indizione di nuove elezioni”.
Il giudice osserva che “una volta indette le elezioni ed essendo pacifico che queste saranno tenute fra circa un mese e mezzo, è evidente che la rimessione alla Corte Costituzionale richiesta in sede cautelare non potrà mai portare a una pronunzia della stessa Corte in termini utili ad impedire le operazioni di voto con la legge oggi censurata e nemmeno alla prima riunione delle Camere, verosimilmente il 23 marzo 2018″. E comunque, prosegue il giudice, “l’eventuale intervento incidentale della Corte Costituzionale potrà andare a incidere solo su future elezioni programmate con questa legge, se ancora in vigore, e pertanto manca del tutto il requisito di strumentalità ma anche quello di urgenza con riferimento alle elezioni del 4 marzo”.
L’urgenza manca, si legge, “perché la questione sarà comunque astrattamente prospettabile in sede di giudizio di merito e nell’eventualità che sia sollevata in quella sede, la Corte Costituzionale potrà incidentalmente giudicare delle censure per il futuro e non con efficacia retroattiva”. “Lo stesso buonsenso – continua – suggerisce come il rimedio prospettato dal ricorrente sia peggiore del danno: il cittadino che va a votare con delle regole si aspetta dal suo voto risultati coerenti con tali regole, condivise o avversate, giuste o sbagliate che siano, e vota volendo quei risultati. Applicare agli esiti del voto già espresso regole emendate, e quindi diverse, porterebbe a un risultato certamente diverso da quello atteso, e quindi, a una lesione del diritto di voto per mancato rispetto della volontà dell’elettore ancora più significativa di quella paventata”.
Il ricorso era stato presentato il 20 dicembre scorso, prima dello scioglimento delle Camere. L’avvocato Colasante chiedeva al giudice di ammettere il ricorso per tutelare il diritto di voto “minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile“, ossia le elezioni del 4 marzo, e sottolineava la necessità dell’intervento della Consulta.