“Questo è il momento americano. Non c’è mai stato un momento migliore per iniziare a vivere il sogno americano”. In campagna elettorale, Donald Trump aveva promesso di “far tornare grande l’America”. Nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, il presidente ha proclamato che, a un anno dal suo arrivo alla Casa Bianca, l’America è in effetti rinata. Nello sforzo di unire un Paese forse mai così diviso, ha proposto ai democratici di collaborare su immigrazione e infrastrutture. Oltre la superficie, oltre la mano tesa ai rivali politici, Trump ha però ribadito, in alcuni casi persino estremizzato, i suoi toni più polemici e controversi. Tra gli annunci, di sicuro sgraditi ai democratici, c’è stata la volontà di tenere aperto il carcere di Guantanamo.

E’ stato un discorso sullo stato dell’Unione lungo, quello di Trump alla Camera Usa, di fronte a deputati e senatori – e giudici della Corte Suprema, militari, ospiti vari. Quasi un’ora e mezza, il secondo più lungo negli ultimi cinquant’anni. E’ stato un discorso privo di veri dettagli e proposte politiche, tranne che in tema di immigrazione. “Questa sera, voglio tendere la mano agli eletti dei due partiti, democratici e repubblicani, per proteggere i nostri cittadini, quali siano le loro origini, il loro colore della pelle e la loro religione”, ha annunciato Trump. Poi è arrivata la proposta, articolata in quattro punti e che dovrebbe ottenere l’assenso democratico: legalizzazione per 1,8 milioni di migranti irregolari; finanziamento del Muro con il Messico; aumento delle forze di polizia alla frontiera; riordino delle norme che hanno sinora governato l’intero sistema. “E’ tempo di riformare le nostre antiquate regole sull’immigrazione, portando il sistema nel 21esimo secolo”, ha detto il presidente, che ha anche coniato uno slogan, “Gli americani sono dreamers”, sognatori, che richiama la sorte degli 800 mila Dreamers (i ragazzi portati negli Stati Uniti da piccoli e che attendono una regolarizzazione).

Non è certo che la proposta di Trump possa davvero farsi strada attraverso il Congresso. I democratici non sembrano per nulla disponibili ad accettare il finanziamento del Muro; i repubblicani più conservatori, soprattutto alla Camera, resistono alla proposta di regolarizzare quasi due milioni di persone. Per tranquillizzare la sua base più conservatrice, Trump ha comunque intessuto la sua “mano tesa” sull’immigrazione di continui accenni alla necessità di presidiare le frontiere e difendersi dal nemico esterno. “Durante diversi decenni, le frontiere aperte hanno permesso alla droga e alle gang di dilagare nelle nostre comunità più vulnerabili”, ha detto Trump. Per esemplificare il suo pensiero, il presidente ha anche richiamato i casi di due ragazzine uccise da una gang, la MS-13 (i genitori delle vittime erano tra il pubblico). Di più Trump ha continuato a definire “chain migration”, migrazione a catena, quella che invece è la normale politica dei ricongiungimenti familiari. Il paradosso è stato quindi quello di un’offerta in tema di immigrazione permeata di forti accenni anti-immigrazione (l’equiparazione tra immigrazione e delinquenza è tra l’altro contraddetta da tutti i dati governativi, che mostrano percentuali di criminalità più bassa tra i migranti rispetto a quelli nati sul suolo statunitense).

Altro settore in cui il presidente ha cercato di trovare un terreno comune con i democratici è stato quello delle infrastrutture. 1500 miliardi sono stati la promessa di Trump per ricostruire strade, ponti, sistemi idraulici (curiosamente assenti dall’elenco le scuole). Non ci sono stati molti dettagli su tempi, modi, strategie, se non un vago accenno alla necessità per il governo federale di ricorrere alla collaborazione con privati e istituzioni locali per rivendicare il proprio “patrimonio nazionale”. “Per costruire l’Empire State Building ci misero un anno. Perché oggi non è più possibile farlo?”, si è chiesto Trump tra gli applausi dei repubblicani che chiedono uno snellimento di regole e burocrazia. Nonostante il largo consenso che un piano di rilancio dei lavori pubblici ha tra democratici e repubblicani, la mancanza di dettagli concreti e di una più chiara definizione delle responsabilità rilancerà con ogni probabilità gli scontri tra deputati e senatori dei diversi Stati e le controversie su chi deve pagare cosa.

Per il resto, è stato un discorso in cui Trump ha rivendicato con forza il lavoro fatto in quest’ultimo anno. L’immagine del “carnage”, della carneficina, di cui il presidente aveva parlato nel suo discorso di investitura, il 20 gennaio 2017, è ormai lontana. L’America che ha descritto Trump è un Paese rinato, dove si torna a investire, dove il lavoro torna a fiorire, dove le famiglie americane godono di consistenti tagli alle tasse. “Abbiamo realizzato il più massiccio taglio alle tasse della storia americana, creato 2,4 milioni nuovi posti di lavoro. I salari tornano a salire e la disoccupazione non è mai stata così bassa negli ultimi 45 anni”, ha detto Trump, che ha ricordato anche la nuova fiducia delle piccole imprese e i record del mercato borsistico. Il senso di un nuovo periodo nella storia americana, di un’offerta di vita più rigogliosa, è risuonato con forza nelle parole di Trump, che ha detto che “non c’è popolo sulla Terra che sia più determinato e che sappia osare di più degli americani. Se c’è una montagna, noi la scaliamo. Se c’è una frontiera, noi la attraversiamo. Se c’è una sfida, noi la affrontiamo. Se c’è un’opportunità, noi la cogliamo. Iniziamo stasera col riconoscere che lo stato della nostra unione è forte perché noi siamo un popolo forte”.

Mentre Trump parlava, sui social apparivano risposte che mostravano come i buoni risultati dell’economia precedono l’arrivo di Trump alla Casa Bianca (Robert Reich ha per esempio twittato che l’economia americana ha prodotto nel 2017 meno posti di lavoro che nei sette anni precedenti e che i salari nel 2017 sono aumentati dello 0,4%, contro l’1,8% del 2015). Trump, come prevedibile e come già fatto nelle scorse settimane, si è comunque impadronito interamente dei meriti della ripresa economica, come pure della sconfitta dell’Isis in Siria e Iraq. Particolarmente duro il presidente è apparso nei confronti della Corea del Nord, definita una “dittatura crudele” verso cui non è possibile “alcun compiacimento e concessione”. Trump ha promesso di non fare gli errori delle amministrazioni precedenti e di combattere la minaccia nucleare nord-coreana – anche in questo caso, non ha detto come. Per rendere più tangibile il pericolo nord-coreano, ha introdotto come suoi ospiti i genitori di Otto Warmbier, il ragazzo americano rilasciato in coma da Pyongyang; e ha chiesto l’applauso del Congresso per Ji Seong-ho, il giovane sfuggito al regime e rifugiato negli Stati Uniti.

Come prevedibile, non c’è stato nel discorso di Trump alcun riferimento alla Russia (ciatata frettolosamente insieme alla Cina come “avversarie” sullo scacchiere mondiale). Pochi sono stati gli accenni alla politica internazionale, a segnare ancora una volta la prevalenza della dottrina dell’America First. Molti, invece, i richiami all’orgoglio patriottico, ai veterani, al fatto che l’America si fonda su “religione e famiglia e non sul governo federale”, sulla necessità di onorare la bandiera, sui giudici che sono stati nominati nelle corti in quest’ultimo anno e che interpretano la Costituzione “come è stata scritta. Un ovvio appello, da parte di Trump, alla sua base più conservatrice, che avrà sicuramente apprezzato anche un altro annuncio: la firma dell’ordine esecutivo per tenere aperto il carcere di Guantanamo. I terroristi catturati saranno detenuti come “enemy combatants”, combattenti nemici, ha detto Trump, facendo riafforare toni e linguaggio della vecchia “war on terror”.

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