La ricerca mette a segno un altro passo verso la cura contro i linfomi killer. Uno studio italiano, firmato da Istituto europeo di oncologia e Istituto italiano di tecnologia, dimostra negli animali l’efficacia dell’associazione tra due farmaci già sul mercato: l’antibiotico tigeciclina e l’antitumorale venetoclax. Secondo il lavoro, finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro Airc e pubblicato su Science Translational Medicine, il mix promette di sconfiggere i cosiddetti linfomi ‘double-hit’, una sottoclasse tra le più aggressive di linfoma a cellule B. “In cavie di laboratorio trapiantate con linfomi double-hit umani – annunciano i ricercatori guidati da Bruno Amati, direttore di divisione al Dipartimento di oncologia sperimentale Ieo – la progressione del tumore si arresta e in alcuni casi si ottiene la piena eliminazione”.
“L’idea di associare i due farmaci per trovare una cura per i linfomi double-hit – spiega Amati – nasce dai nostri studi decennali sulle diverse funzioni del gene Myc, fondamentale nell’origine e nello sviluppo di diversi tipi di tumore. Il termine double-hit deriva dal fatto che in questa grave forma di linfoma sono attivati due oncogeni, Myc e Bcl2. In un precedente lavoro abbiamo scoperto che l’attivazione di Myc sensibilizza le cellule tumorali al trattamento con antibiotici, che in queste condizioni favorisce l’apoptosi, cioè il suicidio delle cellule cancerose. Ma se anche Bcl2 è attivo, per via della sua capacità di bloccare l’apoptosi protegge le cellule da questo effetto, neutralizzando l’azione dell’antibiotico e frenando la morte delle cellule tumorali”.
“Fortunatamente nel 2017 è stato approvato in Europa il primo farmaco inibitore di Bcl2, venetoclax. Quindi il nostro ragionamento è stato: se si può inibire Bcl2 mentre Myc è attivato, l’antibiotico dovrebbe essere in grado di fare la sua parte”. Da qui l’idea di testare ‘in cocktail’ tigeciclina e venetoclax. “I risultati ci hanno dato ragione: l’apoptosi si è riattivata nelle cellule tumorali e il tumore è regredito“, riferisce Amati. “I risultati del nostro lavoro sono preclinici, ossia ottenuti in cavie di laboratorio nelle quali sono state trapiantate cellule umane tumorali – precisa Micol Ravà, prima autrice dello studio insieme ad Aleco D’Andrea – Ma le conseguenze per i pazienti sembrano evidenti e realizzabili in breve tempo”, è convinta la scienziata che parla di “un esempio di come la ricerca di base e preclinica possa offrire indicazioni traslazionali alla clinica. Nello specifico – puntualizza – i due farmaci che abbiamo studiato sono già in uso per altre patologie e ora, sulla base dei dati pubblicati, possiamo proporre il loro ‘repurposing’: una nuova indicazione per i pazienti con linfoma double-hit”. La cautela resta comunque d’obbligo. “Il passaggio alla fase clinica è ancora tutto da elaborare – dice Amati – ma lavorare in un Irccs dove ricerca e cura sono strettamente integrati ci permette di proseguire questo percorso senza interruzione. Stiamo già collaborando con il nostro Programma di emato-oncologia, un’eccellenza Ieo, allo scopo di iniziare entro l’anno una sperimentazione clinica di fase I in pazienti con linfoma di sottotipo double-hit”.