In questi giorni, il presidente della Confindustria di Cuneo, Mauro Gola, è intervenuto nel dibattito sui media con una lettera accorata ai giovani che sono in procinto di decidere il percorso delle superiori. In sintesi, l’imprenditore dice: è vero che c’è sempre più richiesta di laureati e che per prendere la laurea conviene fare il liceo. Fra le lauree, molto richieste dalle imprese sono quelle più tecniche, quali ingegneria e architettura. Però, le imprese cercano anche tanti lavoratori manuali e diplomati tecnici altamente professionalizzati, dotati di competenze legate ad un certo posto di lavoro. Questi posti rappresentano circa la metà del totale nella provincia di Cuneo.
Un errore di 50 anni fa
L’appello di Gola merita un’attenta riflessione. Sempre gli imprenditori si lamentano del fatto che i giovani non hanno competenze legate al lavoro, ma solo astratte. È indubbio che c’è un gap oggi incolmabile fra le competenze fornite dagli istituti tecnici e quelle richieste dalle imprese, così come accade anche ai laureati, per la verità. Questa volta, però, la lamentela diventa suggerimento concreto: andate al tecnico, non al liceo, ma quale tecnico? Quello attuale?
Nel caso del tecnico viene da chiedersi: è stato sempre così? Sono sempre mancate le competenze legate al lavoro? La risposta è no. È diventato così soprattutto da circa 50 anni in qua, da quella legge del 1969 che in nome di una malcelata utopia egualitaria, come nota anche Stefano Zacchi, ha consentito a chiunque facesse una scuola secondaria superiore di almeno 5 anni di accedere all’università. Di là, è partito uno snaturamento degli istituti tecnici, che hanno finito per non essere più né carne né pesce.
Da un lato, molti iscritti si rifiutano di studiare le materie tecniche, poiché loro vogliono andare all’università e così alla fine non studiano né questo né quello e arrivano allora all’università con un background culturale debole che li costringe ad anni di ritardo che spesso porta all’abbandono dopo avere sprecato gli anni più importanti della loro vita.
Quindi, abolendo la legge del 1969 non si rafforza una divisione classista fra scuola delle classi dirigenti (liceo) e scuola degli operai (tecnico-professionale), poiché la parificazione nell’accesso all’università non ha minimamente scalfito quella divisione. Non è così che si realizza l’uguaglianza delle opportunità, poiché ottenere la laurea si è rivelato illusorio per la maggior parte degli studenti degli istituti tecnici.
Meglio immaginare un’università professionale che consenta a chi ha talento ma segue la strada del tecnico di sviluppare le proprie competenze. In Germania, per chi fa l’apprendistato dopo c’è l’università professionale, un’università non accademica, che fornisce una preparazione specifica in diversi campi del pubblico e del privato. In Italia hanno introdotto gli Istituti tecnici superiori che danno lavoro quasi subito a oltre il 90% dei diplomati, ma riguardano ancora poche centinaia di persone.
Certo, come accade anche in altri paesi europei, bisogna garantire flessibilità ai percorsi scolastici, consentendo, con ponti o passerelle, il passaggio dal tecnico all’università a chi abbia il talento e la motivazione per farlo.
Dall’altro lato, si è perso per strada un buon 20% delle coorti più giovani che, non essendo attratto dalla promessa dell’università, ha, alla fine, rinunciato anche alla scuola, non solo a quella superiore, ma anche a quella dell’obbligo, poiché la scuola il lavoro non te lo insegna.
Una proposta per il prossimo governo
Al prossimo governo, di qualunque colore esso sia, propongo di rivedere la legge del 1969 e l’intero assetto delle transizioni scuola-lavoro. La parola d’ordine deve essere diversificare l’offerta formativa. Gli istituti tecnici vanno riqualificati. Allo stato attuale sono ghettizzanti e sicuramente il percorso non è in grado di garantire né la preparazione tecnica richiesta dalle imprese né i requisiti per l’accesso all’università.
Invece, occorre che tornino a fornire competenze lavorative, magari attraverso percorsi di apprendistato in azienda da consentire a tutti coloro che vorranno. Qualche settimana fa ho conosciuto il Preside dell’Omar, istituto tecnico di Novara, che ha un numero enorme di classi e di iscritti proprio perché fa svolgere ai propri studenti periodi in azienda che completano il percorso formativo in aula. Già dall’anno prossimo lancerà l’apprendistato alla tedesca nelle forme che la legge consentirà, rispettando i programmi ministeriali. Aiutiamo tutti gli istituti che lo vorranno a realizzare l’esperienza dell’Omar.