Daniele Broccoli, 25 anni e nato a Rivoli, ci ha raccontato la sua esperienza lavorativa all’estero nell’ambito della ristorazione.

Nel 2012 Daniele parte per l’Australia, con un Working Holiday Visa. Prima di partire decide di abbandonare l’offerta di un contratto a tempo indeterminato come magazziniere. Scelta folle, a sentire il popolo. Forse, ma non quando la voglio di partire supera la paura di lasciare. Trovando subito lavoro in un ristorante, Daniele si appassiona al frenetico mondo della cucina.

Finita l’esperienza australiana, torna in Italia e ottiene un contratto da stagista per il ristorante stellato Combal.Zero di Davide Scabin, per poi essere mandato al BluPum nel ruolo di capo partita. Dopo altre esperienze all’estero (Manchester e Barcellona), si trova costretto a rientrare in Italia.

Di fronte, di nuovo, alla scelta tra il partire e il restare, decide di partire. Un colloquio dopo l’altro, nessuna offerta che prevedesse pagamento dei contributi o degli straordinari. “Sembrava tutto dovuto, quando di solito nella ristorazione c’è molto ricambio di lavoro e molta richiesta, nel mondo come in Italia. Quindi mi sembrava una presa in giro”. Attualmente, Daniele si trova a Malta e lavora come chef de partie al Beer Kitchen di Luqa.

Il motivo scatenante la nostra curiosità è stata la pagina personale di Daniele, No Country for Broccoli. Letteralmente, “Non è un paese per Broccoli”. Creata per poter parlare delle proprie esperienza, delle cucine e culture che incontra in tutti i suoi viaggi, il nome della pagina resta tuttavia eloquente. “Non è un paese per Broccoli intendendo l’Italia come il resto del mondo, come se mi sentissi un po’ a disagio e un po’ bene ovunque mi trovi. Per far capire che non c’è il Paese perfetto dove vivere, ma tutti hanno pro e contro”.

L’attività di Daniele si concentra ovviamente sulla cucina, ma No Country for Broccoli intende anche mostrare nel suo piccolo tutti gli aspetti della nostra cultura, positivi e negativi. Secondo Daniele, l’aspetto peggiore del lavorare nella ristorazione italiana consiste nell’essere sottopagati, a tratti sfruttati. Sembra la lamentela più banale… eppure non sembra altrettanto banale riuscire a trovare un contratto da 40 ore a settimana per uno stipendio di circa 1100 euro al mese, in regola e con contributi e straordinari pagati.

L’aspetto migliore resta indubbiamente il rapporto qualità-prezzo del cibo, sia che si lavori nella ristorazione o semplicemente pubblici consumatori.

Altri ostacoli si presentano sul piano ideologico: secondo Daniele, gli italiani non raggiungono spesso il livello di umanità necessario a comprendere la situazione di un immigrato. Per la sua esperienza, quel che manca nella ristorazione italiana è l’umiltà e il gioco di squadra. Oltre al fatto che se gli italiani sono noti per la loro furbizia, una motivazione di fondo ci deve essere.

Al di là della frontiera, Daniele ha notato una più forte propensione alla formazione, un’attenzione maggiore a farti crescere professionalmente. Non che essere immigrati all’estero sia una passeggiata: si è sempre considerati tali, nel pubblico e nel privato, a lavoro o nella vita quotidiana. Il fatto di essere italiano e cuoco presuppone poi che tu sia un Dio della cucina. Un ragionamento automatico che certo, può farti trovare subito lavoro, ma anche molte aspettative irreali. “Ad esempio, io ho lavorato in uno stellato, quindi tutti pensano che io sia uno chef stellato, quando in realtà non sono nemmeno uno chef ma un semplice cuoco”.

Il semplice fatto di essere italiano, quindi, come un’arma a doppio taglio.

Sulla scia dell’etichetta Made in Italy, il cuoco italiano deve per forza essere sinonimo di valore ed abilità di altissimo livello, a prescindere. E’ l’italianità ad essere venduta, a discapito di quello che è il vero livello d’esperienza o qualità. “Una cosa che ho sempre riscontrato all’estero, quando dici di essere italiano: o ti amano, o ti odiano. Nessuno è indifferente ad un italiano”. L’Italia può vantare una delle migliori produzioni di materia prime, oltre che una cultura culinaria semplice e tradizionalmente radicata.

Secondo Daniele l’attenzione va spostata verso i contadini e gli agricoltori, verso la produzione della materia prima. Spetta poi ai cuochi, in un secondo tempo, valorizzare il loro lavoro. “Anzi forse abbiamo qualcosa in meno in certe circostanze, perché siamo abituati ad avere delle buonissime materie prime, e quando arriviamo all’estero e queste non ci sono siamo in difficoltà”. L’ingrediente segreto? Forse la consapevolezza e l’orgoglio per chi che si è, per riuscire a basare il proprio valore sulla sostanza, oltre che su un’immagine globale e stereotipata.

Forse… ma nel frattempo: be Italian… live today as if it may become your last!

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