A parlare così è Shreena Gandhi, professoressa di studi religiosi alla Michigan State University che assieme alla collega Lillie Wolff ha pubblicato l’articolo “Yoga and Roots of cultural appropriation”. Al centro del lungo ragionamento, la Gandhi critica l’appropriazione materialistica/consumistica statunitense e bianca di una filosofia orientale profonda come lo yoga
Lo yoga in Occidente? Colonialista, elitista, narcisista e soprattutto contribuisce al suprematismo bianco. Non usa mezzi termini Shreena Gandhi, professoressa di studi religiosi alla Michigan State University che assieme alla collega Lillie Wolff ha pubblicato l’articolo “Yoga and Roots of cultural appropriation”. Al centro del lungo ragionamento che trovate qui, la Gandhi critica l’appropriazione materialistica/consumistica statunitense e bianca di una filosofia orientale profonda come lo yoga. “Lo yoga è diventato – e rimane – una pratica che consente ai professionisti occidentali (che la “insegnano” ndr) di sperimentare l’idea di un’altra cultura mentre si concentra sul sé”, spiega la docente. “La maggior parte degli insegnanti di yoga in America non apprende la tradizione indù o la storia culturale indiana. Generalmente negli Stati Uniti, le persone praticano l’aspetto fisico dello yoga, le posture o le asana, che comprendono solo un ottavo della pratica nel suo insieme”, afferma la Gandhi. Che continua ricordando come l’insegnamento della “pratica fisica”, che prevede lo scorrere da una posa all’altra degli esercizi yoga con la consapevolezza del respiro, aiuti comunque molte persone a diminuire lo stress, l’ansia e la depressione. “Tuttavia, quando gli insegnanti di yoga “occidentali” addestrano altri praticanti a relazionarsi allo yoga solo a livello fisico, senza esplorarne la storia, le radici, la complessità e la filosofia, stanno perpetuando la ricolonizzazione di esso diluendo la sua vera profondità e il suo significato. Questa tendenza moderna di appropriazione culturale dello yoga è una continuazione della supremazia bianca e del colonialismo”.
Per la studiosa di scienze religiose “nell’era consumistica di oggi, lo yoga prospera perché è possibile ricavarne molti prodotti. L’esplosione negli ultimi due decenni di studi sullo yoga, video sullo yoga, app e pantaloni da yoga, ne sono la prova”. Fermo restando gli oggettivi profondi effetti curativi sul praticante, ecco comunque alcuni consigli per uscire dalla spirale negativa: “Andare oltre una relazione inspiegabile di livello superficiale con lo yoga in una dimensione più profonda, più trasformativa di quella pratica, maggiore consapevolezza, contemplazione e impegno”. Senza dimenticare che permettersi di praticare lo yoga costa. E non poco. Costi proibitivi che come segnalato nell’articolo penalizzano le persone a basso o medio reddito. “Il risultato di questa realtà è che lo yoga occidentale è spesso rappresentato e commercializzato nella cultura dominante da donne magre, bianche, di ceto medio-alto, cisgender e normodotati”. Ultima critica va direttamente al cuore del problema: “l’individualismo competitivo”, il narcisismo e il culto della forma fisica esteriore che, va detto, non nascono di certo con lo yoga ma soprattutto con la globalizzazione dell’esercizio fisico in palestra. “Molte persone competono per l’attenzione, il tempo e l’elogio dei loro insegnanti, che sono spesso trattati come celebrità; e molti insegnanti (e praticanti) si sforzano di promuovere il loro stile o marchio di yoga come la forma migliore o superiore di yoga. Tutto ciò tende a creare una cultura elitaria che è antitetica rispetto alle vere radici dello yoga, ovvero che riguardano la mente, il corpo e lo spirito per ricordare la nostra innata unità e connessione con una coscienza universale”.