Ll’avvocato e consigliere comunale torinese dell’Udc Alberto Musy. fu colpito da quattro proiettili uscendo di casa la mattina del 21 marzo 2012 e morì dopo 19 mesi di agonia. Il pg della Cassazione aveva chiesto la conferma della condanna al fine pena mai
È definitiva la condanna all’ ergastolo per Francesco Furchì, l’uomo accusato dell’omicidio dell’avvocato e consigliere comunale torinese dell’Udc Alberto Musy. Lo ha deciso la I sezione penale della Cassazione. Musy fu colpito da quattro proiettili uscendo di casa la mattina del 21 marzo 2012 e morì dopo 19 mesi di agonia. Il pg della Cassazione aveva chiesto la conferma della condanna all’ergastolo, mentre i difensori di Furchì hanno ribadito la sua estraneità all’omicidio.
Il sostituto procuratore generale della Cassazione Pina Casella nella sua requisitoria davanti ai giudici della Prima sezione penale ai quali aveva chiesto la massima pena per l’aggressione avvenuta nell’androne di un palazzo signorile nel pieno centro di Torino, in via Barbaroux. Uno sconosciuto, coperto dal casco, sparò contro Musy. Secondo il pg Casella, “le prove sono convergenti” contro Furchì e “correttamente” i giudici di merito della corte di Assise e della corte di Assise di Appello di Torino, che si è pronunciata nel 2015, hanno individuato il movente nel “sentimento di vendetta”.
L’imputato, ragioniere calabrese, con aspirazioni in politica e negli affari legati alla politica, era stato presentato a Musy per aiutarlo durante la campagna elettorale a sindaco del 2011 da un professore della facoltà di giurisprudenza dove Musy insegnava. Le indagini della polizia durarono quasi un anno: a stringere la rete attorno a Furchì fu proprio il docente che lo aveva presentato a Musy, Pier Giuseppe Monateri: mentre era intercettato dalla questura parlando con una amica disse di aver riconosciuto le sembianze dell’imputato sotto il casco dell’uomo che camminava in via Barbaroux.
Dai riscontri, Furchì risultò effettivamente presente in quella zona mentre avveniva l’agguato e venne fermato dalla polizia al termine del primo interrogatorio il 30 gennaio 2013. A spingerlo ad uccidere sarebbero stati rancori legati al fatto che essendo andate male le amministrative del 2011, Musy non gli aveva potuto affidare alcun incarico mentre Furchì si aspettava di ricevere qualcosa. Avrebbe anche voluto che Musy favorisse il figlio di un amico a un concorso universitario e che aiutasse lui a trovare dei soci per rilevare una società di trasporti ferroviari fallita, un progetto non andato a buon fine. Il grosso dei riscontri a carico del ragioniere calabrese è venuto dalle telecamere e dall’esame delle celle telefoniche, mentre il casco, l’impermeabile e l’arma del delitto non sono mai stati trovati. Furchì ha sempre sostenuto di essere innocente, ma ha anche fornito un alibi falso, come ha ricordato il Pg Casella chiedendo il rigetto del suo ricorso.