La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per non aver adeguatamente protetto una 15enne con problemi di droga e che soffriva di disturbi psichici, caduta vittima di una rete di prostituzione. I giudici di Strasburgo hanno rilevato che le “autorità italiane non hanno agito con la necessaria scrupolosità e non hanno preso tutte le misure necessarie per prevenire gli abusi di cui è stata vittima la giovane”. Per questi motivi, la corte ha stabilito che il nostro Paese dovrà versare alla ragazza 30mila euro di risarcimento per danni morali e altri 10mila per le spese legali.
Nella sentenza, che diverrà definitiva tra 3 mesi se le parti non faranno appello, la Corte di Strasburgo evidenzia che le autorità “erano al corrente dello stato di vulnerabilità della quindicenne e dei rischi imminenti che correva” di cadere vittima, come è poi avvenuto, di una rete di prostituzione. Inoltre, i giudici imputano al tribunale per i minori e ai servizi sociali italiani di non aver agito con prontezza per prendere misure protettive immediate che salvaguardassero l’incolumità della minorenne.
La vicenda risale all’aprile del 2013, quando la giovane partecipa ad una festa dove circolano alcol e droga: la polizia arriva sul posto, sequestra tutte le sostanze stupefacenti e prende le generalità dei minori presenti. Sul caso viene aperta un’inchiesta penale e così inizia il lungo iter giudiziario della ragazza. I genitori segnalano ai magistrati che la giovane già faceva uso di droga e di aver scoperto che era stata contattata su Facebook da un sedicente fotografo per fare foto pornografiche. Anche lo psichiatra che ha in cura la 15enne conferma agli inquirenti che la giovane soffre di disturbi bipolari e che ha una personalità borderline.
Nonostante ciò, dagli atti risulta infatti che il tribunale per i minori ha impiegato più di 4 mesi per decidere del caso e i servizi sociali hanno poi impiegato altri 4 mesi per dare applicazione alle misure richieste: nel frattempo però la giovane è stata coinvolta in un giro di prostituzione ed è diventata vittima anche di uno stupro collettivo. Per questi motivi, la giovane aveva deciso di ricorrere alla Corte dei diritti umani, sostenendo che, pur essendo all’epoca dei fatti molto vulnerabile, lo Stato non le avesse garantito adeguate misure di tutela.