L’inchiesta sotto copertura su FqMillennium in edicola d sabato 3 febbraio. Nel primo voto senza fondi pubblici, porte spalancate a chi promette soldi in cambio di provvedimenti graditi. Con garanzia di anonimato. Così nei bilanci dei partiti ci sono milioni di euro non riconducibili a nessuno
Politica sì, un tanto al chilo: vuoi un emendamento favorevole? Un comunicato dell’onorevole? Si può fare, basta pagare. È quanto rivela l’inchiesta di Fq MillenniuM di questo mese dedicata alla politica e al voto del 4 marzo in edicola da sabato 3 febbraio. Due cronisti, spacciandosi per lobbisti di un fondo arabo, hanno promesso finanziamenti a 7 fra deputati e senatori. E chiesto loro, tramite il loro partito, di appoggiare una campagna a favore delle sigarette elettroniche. Tutti i dettagli degli incontri, le frasi equivoche e le promesse esplicite che imbarazzano senatori e deputati sono pubblicati integralmente nella lunga inchiesta realizzata da Thomas Mackinson e Luigi Franco sul mensile diretto da Peter Gomez.
Compreso l’incontro con il tesoriere di Forza Italia, il senatore Alfredo Messina, che dispensa consigli su come aggirare – rispettando le norme – il tetto di 100mila euro di contributo ai partiti previsto dalla legge. E su come rimanere donatori anonimi. Messina, nell’incontro avvenuto nel suo ufficio presso la sede di Forza Italia in via in Lucina a Roma, ha suggerito ai due sedicenti lobbisti di moltiplicare le donazioni utilizzando diversi soggetti, per esempio attraverso “un’altra organizzazione separata, potrebbe essere quella dei venditori”. Se i soldi arrivano da persone fisiche, il tesoriere del partito di Silvio Berlusconi ha invece consigliato di spacchettare fra “padre, moglie, figli”. “Vedrà che insomma, questa iniziativa la porteremo a conoscenza anche… a tutti i livelli. Quindi insomma, un impegno ci sarà sicuramente”, è stata la conclusione del senatore, prima di congedare i due lobbisti-giornalisti previa consegna dei moduli per la donazione e l’Iban del conto di Forza Italia.
E si arriva al cuore del problema, raccontato nella seconda parte dell’inchiesta che proprio sul mercato delle leggi, cioé i meccanismi che permettono ai partiti di incassare fior di contributi da donatori anonimi ma anche portatori di interessi particolari. Sia perché sotto i 5mila euro non va dichiarato proprio nulla (negli Usa invece si dichiarano anche 5 dollari), sia perché basta che il generoso “contribuente” neghi l’autorizzazione al trattamento dei dati per fare scomparire il nome del donatore da ogni atto accessibile ai cittadini. Una possibilità introdotta con la scusa della privacy dalla legge che ha abolito il finanziamento pubblico. Niente trasparenza, dunque. Con un risultato: negli ultimi anni i partiti hanno incassato un sacco di soldi che non è possibile ricondurre a nessuno.
Solo il Pd ha raccolto dal 2013 al 2016 la bellezza di 9 milioni di euro, un quarto delle sue entrate da erogazioni liberali, senza che sia possibile sapere da dove siano arrivati. Forza Italia, dal 2014 al 2016, ha incassato così quasi 1,3 milioni di contributi “segreti”, tallonata dalla Lega Nord che nel solo 2014 s’è portata a casa quasi 1,1 milioni senza intestatario sui 3 ricevuti in donazioni. Potrebbero aver contribuito i Casalesi, i Monty Python o la Spectre, è uguale: sono tutti finanziatori rimasti legalmente ignoti. Quei dati e quei nomi non si ottengono neppure con specifica richiesta alla Camera dei Deputati che pure li detiene per legge. Inutile bussare anche all’Ufficio di presidenza di Montecitorio, facendo leva sul diritto di cronaca, sulla trasparenza. Un muro di gomma. E siccome la campagna elettorale in corso è la prima a fondi pubblici zero, l’opacità del finanziamento privato e le possibili ingerenze dei portatori di interessi sul processo legislativo sono un tema spinosissimo, di grande attualità. E l’inchiesta dei lobbi-giornalisti lo dimostra.