È la nuova frontiere della precarietà, che rischia di “cancellare quel che resta del welfare state”. “La chiamano sharing economy, ma in realtà sarebbe più corretto “gig economy”: perché non c’è alcuna condivisione tra il fondatore di Uber e i suoi autisti”, chiarisce Riccardo Staglianò, autore di “Lavoretti“. “Queste aziende minimizzano le proprie tasse, andandole a pagare in Irlanda o Olanda, attraverso meccanismi legali ma immorali. Così si impoverisce la società, mettendo in crisi lo stato sociale”, ha spiegato a margine della presentazione del suo libro, a Roma, insieme al parlamentare di LeU Giuseppe Civati. “Il tema dei diritti e la questione dei lavoretti assenti in campagna elettorale? Alla politica piace spesso la strada breve, ma questa scorciatoia nel lungo periodo non sarà produttiva. La politica deve ragionare in termini più lunghi di un ciclo elettorale”, ha chiarito. Sul caso del braccialetto Amazon, Staglianò ha poi aggiunto: “Tutto dipende dalle leggi. Non credo nell’ineluttabilità della tecnologia, non siamo condannati. Anche se si spinge per maggiore efficienza, facendo a meno dell’uomo. Ci vuole un sussulto d’orgoglio della politica, affinché torni a governare questi fenomeni”. Per Staglianò, infine, i sindacati non sono al momento pronti alla sfida dei nuovi lavoretti: “Non riescono a interpretare a dovere il fenomeno, mi auguro riprendano il polso della situazione, altrimenti potrebbe essere troppo tardi”