Nel suo ultimo libro l'economista analizza le mezze verità che girano attorno a Pyongyang. Un impero ripiegato su se stesso, sopravvissuto per la poca lungimiranza degli Stati Uniti che fin dalla fine della Seconda guerra mondiale, continuano a commettere lo stesso errore: isolano i nemici e li compattano contro di loro
In Occidente, Kim Jong-Un appare nei media come uno squilibrato pronto a tutto. Un nemico incomprensibile, spinto nelle sue azioni solo dalla sua follia. Intorno al regime di Kim Jong-Un, però, c’è dell’altro. C’è una storia, in cui gli Stati Uniti giocano una parte importante. Se la dittatura di Pyongyang è sopravvissuta fino a oggi, è perché è un nemico necessario. Kim Jong-un, il nemico necessario è il titolo dell’ultimo libro dell’economista Loretta Napoleoni, edito da Rizzoli. Una guida per decifrare le mezze verità che girano attorno all’Impero del Male di Kim. Un impero ripiegato su se stesso, sopravvissuto per la poca lungimiranza degli Stati Uniti, che fin dalla fine della Seconda guerra mondiale continuano a commettere lo stesso errore: isolano i nemici e li compattano contro di loro. Che siano sanzioni, guerre o crisi diplomatiche.
“Le stesse sanzioni che avrebbero dovuto fermare il programma nucleare e forse rovesciare il regime lo hanno consolidato?”, si chiede Napoleoni nel libro. La risposta è molto probabilmente sì. E ora siamo alle prese con la più assurda delle crisi nucleari, in cui la propaganda in stile Guerra fredda continua a far sentire una minaccia che razionalmente appare impossibile. “È impossibile spiegare razionalmente come funziona questo Paese e la sua gente”, spiega un diplomatico europeo in Kim Jong-un il nemico necessario. È una società dove il leader, il suryong, è venerato come un dio e dove ogni neonato, alla nascita, riceve il songbun, il proprio status sociale. Attraversato da guerre e carestie, non è mai stato ricco. Eppure è lì, a sfidare il mondo con un arsenale nucleare di propria produzione.
Loretta Napoleoni, ma perché ci serve un nemico così lontano in Oriente? Non ha il petrolio dell’Iraq. Non addestra terroristi. Alla fine, l’inimicizia lo sta tenendo in piedi…
“La frenesia democratica non ha portato molti risultati. Afghanistan e Iraq sono democrazie dove la gente salta in aria tutti i giorni. L’idea che ci sia un posto peggiore, un impero del male, simile alla Russia di Stalin, è consolante per noi. Ci fa dire che a Baghdad, con la democrazia, oggi si sta un po’ meglio. La logica dietro questo pensiero però è totalmente assurda. Nessuno ha ascoltato il discorso sullo Stato dell’Unione degli Usa: Trump ha parlato dieci minuti della Corea del Nord. La retorica contro Pyongyang non era solo contro l’esclation nucleare, ma anche contro il sistema di giustizia. Trump ha citato Otto Warmbier, il ragazzo morto dopo essere andato in come in Corea del Nord, come un eroe di guerra”.
Come si legge nel libro, per fortuna Corea del Nord e Stati Uniti hanno bluffato nella loro guerra diplomatica. Però Otto Warmbier è vittima vera. Cosa rende diversa questa storia?
“Nel libro cito in proposito un articolo del New Yorker, in cui un diplomatico nordcoreano ricorda le sanzioni personali del 2016 contro gli alti esponenti del regime di Pyongyang. Un’esposizione pubblica. Dopo quel fatto si sono chiusi i canali diplomatici. Warmbier è stato arrestato in un momento in cui non c’era nessuna possibilità di intavolare un dialogo tra i due Paesi ed è stato fagocitato dal sistema di giustizia assurdo che c’è in Corea del Nord. In questi articolo del New Yorker si parla della malattia del ragazzo durante la carcerazione, a cui i nordcoreani hanno reagito con una bomba medica che l’ha mandato in coma. Però dopo il decesso in America non c’è stata un’autopsia, con la quale ritengo sarebbe uscita tutta la storia. La mia interpretazione è che non l’abbiano ammazzato, non avrebbe avuto senso, non è in linea con quanto hanno fatto finora”.
Nel libro si racconta del sistema ideologico semi-religioso dello Juche. Ma quanto ci credono i nordcoreani e quanto invece funziona come deterrente?
“Ci credono tanto. Nel libro faccio un paragone con Scientology, perché come una religione è un atto di fede. Credono che Kim abbia poteri fenomenali. Io penso che l’elemento fondamentale di quest’ideologia, comunque, sia il nazionalismo e l’idea della superiorità della razza che c’è nella storia millenaria coreana”.
Il racconto che si fa nel nostro mondo, riduce lo Juche al comunismo più che al nazionalismo. Perché?
“Qual è il nemico di democrazia, libero mercato e occidente? Il comunismo, da sempre. Anche noi abbiamo i nostri luoghi comuni e questo dura dalla Guerra fredda. Prima era la Cina il grande pericolo comunista, ma quella della Corea del Nord è sempre la stessa storia. È una paura stupida, per altro. Il comunismo come forma sociale è crollato in tutto il mondo. E allora, ci si chiede, come fa a funzionare? Il lavaggio del cervello lo faceva anche Stalin. Il fatto è che tutte le falsità che girano intorno a questo nemico necessario sono smontabili con la logica. Anche noi, credendoci, facciamo un atto di fede”.
Data l’imprevedibilità di Trump e Kim, è possibile prevedere una fine della crisi nucleare?
“Dal punto di vista razionale sono convinta che non convenga nessuno sparare un missile. Per entrambi il vantaggio è zero. Ma la retorica intorno è molto belligerante. Non voglio credere però che accada qualcosa”.
Dissipare il fumo della retorica è complicato. Ogni take di agenzia sulla Corea del Nord rischia di diventare una fake news. Per evitare il problema, le fonti del libro sono soprattutto diplomatici che hanno vissuto in Corea del Nord…
“Non c’è alternativa. In rete o sui giornali c’è di tutto e di più. Questo è il cuore delle fake news. Siccome un regime è eremita per definizione e avvolto nel mistero, tutto può essere detto e a loro fa solo comodo, perché ingigantiscono la loro posizione. Però c’è un dato interessante, che mostra dei cambiamenti: nel 2017 i coreani hanno lanciato questi missili e hanno fatto girare queste foto che dimostrano quanto il loro programma nucleare sia più avanti del previsto. È un’apertura positiva: sono convinta che siano pronti al dialogo. Però non lo so se gli Stati Uniti lo sono. È tutto imprevedibile. Brancoliamo tutti nel buio”.