In una nota ufficiale pubblicata il 30 gennaio 2018 Facebook ha comunicato di proibire le inserzioni pubblicitarie di prodotti o servizi correlati alle criptovalute. A dare la notizia è Rob Leathern, Product management director, che nella nota rammenta quanto Facebook combatta da sempre la pubblicazione di annunci ingannevoli e che, stavolta, a finire nel mirino del ban meritino di essere gli annunci fuorvianti legati a Bitcoin e simili.
Ad aggiungere il carico da novanta ci pensa The Next Web, una delle più rilevanti riviste di tecnologia del mondo. In un suo articolo racconta infatti di essersi vista bannare un post in cui annunciava semplicemente che il Co-fondatore di una valuta digitale, IOTA, avrebbe partecipato come speaker a un proprio evento, la Tnw Conference.
Ad essere bannate su Facebook sono anche le inserzioni legate alle Ico (initial coin offering). “Ico sta per Initial coin offering, non è altro che il concetto di Ipo, un’offerta al pubblico dei titoli di una società prima di una quotazione in borsa, ma applicato al mondo delle criptovalute” – ci chiarisce meglio il tema Gian Luca Comandini, Co-Fondatore dell’Associazione per lo sviluppo delle tecnologie Blockchain ed esperto sul tema per RaiDue. “Un sistema veloce, semplice ed efficace per raccogliere facilmente anche milioni di euro, rigorosamente in valuta digitale, per creare ed immettere criptovaluta nel mercato”.
Comandini conclude dandoci la misura numerica del fenomeno: “Ad oggi sono quasi duemila e nascono decine di Ico al mese. Le più famose sono Bitcoin ed Ethereum”. La pesante mannaia di Facebook si posa sulle teste dei business legati alle criptovalute con un tempismo sospetto, che merita di alimentare lo spirito critico di chi non si ferma alle apparenze. Specie in un Paese come l’Italia in cui, ahinoi, il “conflitto di interessi”è un tema conosciuto.
Neanche un mese fa infatti, il 4 gennaio del 2018, Mark Zuckerberg pubblicava un post sul proprio profilo personale annunciando che avrebbe iniziato a studiare in profondità temi come la crittografia e le criptovalute, strumenti in grado di “prendere il potere dai sistemi centralizzati per ridarlo nelle mani delle persone, seppur con il rischio di essere incontrollabili”.
Un mese prima, a dicembre del 2017, accadeva qualcosa di ancora più interessante, stavolta raccontato sulle pagine digitali di Business Insider. David Marcus, Head of Facebook messenger, veniva nominato nel consiglio di amministrazione di Coinbase, startup californiana che si occupa di compravendita e trasferimento di criptovalute. Un altro tassello fondamentale di casa Facebook legato al magico mondo dei Bitcoin per motivi di business.
A questo punto la domanda diventa una e una soltanto. Dopo aver stoppato la concorrenza sul nascere, come farà Facebook a giustificare la potenziale integrazione tra un sistema di criptovalute e la piattaforma di social networking?
“Cosa la rende poco attuabile sul breve termine? La legge” – prosegue Casciaro. “Se il 2018 vedrà una crescita simile a quella del 2017 è più che ragionevole pensare che l’arrivo di leggi ad hoc per le valute digitali non tarderà oltre i 12 mesi. Qualsiasi piattaforma web non a norma, nel mondo, potrebbe incorrere in seri problemi legali”.
Casciaro conclude invitando dunque alla moderazione, perché la valuta digitale di Facebook potrebbe arrivare, ma non domani: “È riduttivo immaginare che il ban di Facebook possa essere ascritto alla volontà di lanciare una propria moneta in tempi brevi”.
Il proverbio recita che se Facebook fosse una nazione, sarebbe quella più popolosa. Aggiungiamo allora che se Facebook conia una propria criptovaluta, diventa anche la banca digitale più trafficata. Una banca in cui non si parla dei concorrenti. Pena, il ban.