Gentile ministra Fedeli, tra circa un mese il suo incarico istituzionale volgerà al termine, ed è mia intenzione con la presente rivolgerle un saluto carico di spunti, osservazioni, domande e considerazioni. All’inizio del suo mandato fui infatti il solo, o uno dei pochi, che, non unendosi al coro di chi la accusava, lecitamente o meno, di aver mentito sui titoli, le rivolse una lettera aperta sottoponendole, senza alcun intento polemico, il problema della totale assenza della storia della musica, materie presente nei programmi scolastici delle scuole tedesche di ogni ordine e grado, dai nostri istituti superiori (a cui fa eccezione, per ovvie ragioni, il Liceo Musicale).
Quella lettera non ricevette alcun genere di risposta, né direttamente né indirettamente. Nel frattempo però il suo operato ministeriale si può dire abbia collezionato una lunga serie di demeriti, alcuni dei quali mi appresto ora a evidenziare. Partirò dunque con una domanda: era proprio necessario proseguire sulla strada, già egregiamente tracciata da diversi suoi predecessori, dello screditamento dei docenti? Perché vede, insistere sull’idea degli insegnanti come incapaci da “stanare”, o minacciare il licenziamento di quei docenti che instaurino rapporti amicali coi propri alunni (senza tenere in considerazione quanto simili pratiche, in zone ad alta dispersione scolastica, siano l’unico strumento possibile per stimolare i ragazzi a una più o meno assidua frequentazione), è a ben vedere quanto di più cieco potesse giungere dalla delicata carica istituzionale che ha accettato di ricoprire.
Come infatti dovrebbe sapere, urgerebbe semmai una riqualificazione della figura del docente, una vera e propria riabilitazione del suo ruolo professionale, culturale e sociale; urgerebbero interventi e parole volte a ricordare agli italiani quanto delicato, difficile, logorante e cruciale sia il compito professionale portato avanti dai docenti delle nostre scuole, impegnati a svolgere il proprio incarico in condizioni a dir poco disastrose, quelle stesse create da decenni di mancati interventi politici atti a restituire dignità al comparto scuola. Se oggi i docenti godono di quella diffusa disistima che eventi di ogni genere oramai quotidianamente testimoniano (ultimo in ordine di apparizione l’accoltellamento della docente casertana), se gli unici pensieri comunemente loro rivolti sono relativi alle presunte ferie più lunghe d’Europa (dato sistematicamente smentito da tutti i rapporti Eurydice), se i loro stipendi sono così bassi (i più bassi d’Europa a parità di ore lavorative) da far indignare persino il pontefice (“Gli insegnanti sono malpagati, è un’ingiustizia”, ricorda?), questo lo dobbiamo principalmente a ingiustificati e ingenerosi interventi come i suoi e quelli di molti altri suoi colleghi.
Perché, dunque, non ha messo al centro della sua agenda una vera e propria riqualificazione, economica e professionale, della figura docente? A ben vedere avrebbe fatto un piacere, prima che agli stessi insegnanti, all’intera società, oggi più che mai bisognosa di figure di riferimento dotate della giusta autorevolezza. E ancora: perché non ha approfittato del suo mandato per intervenire sui veri problemi che attanagliano il mondo scolastico? Perché non si è deciso di intervenire, una volta per tutte, sulla questione delle classi pollaio, primo fra i problemi che rendono il nostro sistema d’istruzione lento e poco efficiente? Ha mai immaginato cosa significhi tentare d’insegnare in classi di 25-30 alunni, diversi dei quali con disabilità e senza opportuni spazi e attrezzature?
Mentre la scuola va avanti sorreggendosi sulla sola forza d’animo di persone sfiancate da un mestiere che diventa, proprio grazie a chi governa, ogni giorno più difficile, non senza un certo stupore e una buona dose di rammarico l’abbiamo vista concentrarsi su questioni di dubbia o nulla importanza: decidere, per esempio, se fare usare in classe gli smartphone ai nostri ragazzi, che sarebbe come scegliere se far leggere Topolino a un malato terminale. Proprio in questi giorni si sta infine discutendo circa il rinnovo del contratto nazionale, quello stesso che, fermo dal 2009, ha causato il progressivo, ulteriore e vergognoso impoverimento della classe docente: l’aumento previsto pare consisterà, di media, in 40/50 euro netti, uno schiaffo a dispetto del quale il costo della vita certificato è cresciuto negli ultimi anni di ben 11 punti percentuali.
Gentile Fedeli, lei, così come chi l’ha preceduta, ha avuto la grande possibilità di essere ricordata per opere di grande spessore e assoluta urgenza, tutte immancabilmente eluse a beneficio di interventi dubbi o del tutto inutili. La voglio salutare augurandole un futuro carico di successi, quegli stessi che, purtroppo per noi tutti, da ministro dell’istruzione non è riuscita a ottenere.