Ha chiesto di andare in pensione per motivi di salute. In questo modo eviderebbe di essere rimossa dalla magistratura. E potrebbe recuperare la parte dello stipendio che le è stato tagliato dopo che è finita sotto inchiesta. È questa l’istanza avanzata al Csm da Silvana Saguto, l’ex presidente della Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, sotto processo a Caltanissetta per corruzione e abuso d’ufficio. L’ex zarina dei beni confiscati a Cosa nostra ha motivato la richeista di essere collegata a riposo con l’inabilità, cioè per ragioni di salute.
Se la richiesta venisse accolta in tempi brevi, non solo finirebbe nel nulla il procedimento disciplinare nel quale la procura generale della Cassazione ha chiesto per lei la condanna alla rimozione dall’ordine giudiziario. Ma Saguto avrebbe anche il diritto di chiedere la corresponsione di quanto le è stato tagliato dalla retribuzione, da quando nel novembre del 2015 è stata sospesa dal Csm dalle funzioni e dallo stipendio, a seguito dell’inchiesta di Caltanissetta.Da oltre due anni l’ex presidente di sezione percepisce infatti un assegno di mantenimento pari a un terzo della retribuzione. I tempi però per l’accoglimento della richiesta di pensionamento per malattia non sono solitamente brevi, perché bisogna accertare, anche con perizie, la sussistenza dell’inabilità e se sia tale da giustificare il collocamento a riposo.
Non sono nemmeno rapidissimi i tempi di esecuzione delle sentenze disciplinari del Csm, per le quali è consentita l’impugnazione davanti alle Sezioni Unite civili della Cassazione. Gli ermellini possono confermare oppure annullare con rinvio la pronuncia del Csm, disponendo un nuovo processo: in questo caso i tempi si allungano notevolmente. Anche nel caso in cui la Cassazione mette il proprio sigillo alla sentenza disciplinare, perché diventi esecutiva occorre il deposito delle motivazioni.
Intanto è momentaneamente fermo il procedimento disciplinare a Saguto, in corso davanti alla sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli. Era stato sospeso stamattina dopo che il magistrato aveva fatto recapitare un certificato medico che attesta il suo ricovero in una clinica privata. Il “tribunale delle toghe” ha dunque disposto la visita fiscale: se sarà accertato che effettivamente ricorre un legittimo impedimento, il processo si fermerà in attesa che la diretta interessata sia in grado di rendere le dichiarazioni spontanee, come ha chiesto di poter fare. Diversamente riprenderà il dibattimento e la parola passerà alla difesa di Saguto, assistita dagli avvocati dello studio legale di Giulia Bongiorno.
Non ha per ora subito contraccolpi invece il procedimento disciplinare a carico del giudice Fabio Licata, uno dei quattro magistrati coinvolti nel “caso Saguto”, ex componente delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Per lui il pg della Cassazione, Mario Fresa, la condanna alla sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per sei mesi. Diverse le accuse di cui deve rispondere Licata: la principale è aver usato il suo ruolo per assicurare a Saguto e ai suoi familiari “ingiusti vantaggi“. E in particolare di avere accettato di assumere, senza un provvedimento formale, le funzioni di giudice delegato prima e poi di presidente del collegio che si occupava di un sequestro di beni nel quale il marito di Saguto, l’ingegnere Lorenzo Caramma, era coadiutore dell’amministratore giudiziario. Il tutto per “dissimulare il conflitto di interessi” in cui si trovava Saguto. A Licata viene contestato anche di aver aumentato il compenso di Caramma, “per un’attività pari a zero” e “senza alcuna verifica“, ha detto oggi Fresa, che ha definito per questi comportamenti il magistrato “un fantoccio nelle mani di Saguto”.
Il processo sulla gestione dei beni confiscati a Cosa nostra si è recentemente aperto davanti al tribunale di Caltanissetta. Per il gip Marcello Testaquadra, Saguto avrebbe gestito in modo spregiudicato i patrimoni sottratti alla mafia. Oltre al magistrato, ci sono altri quindici imputati, tra cui l’ex prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, il padre, il marito e il figlio del magistrato, più alcuni amministratori giudiziari. Le indagini, avviate nel 2015, hanno ricostruito un “sistema” basato su rapporti privilegiati con alcuni professionisti nominati amministratori giudiziari. Le assegnazioni di incarichi e consulenze sarebbero state ricambiate con regali, favori e denaro.