Giancarlo Longo era al servizio di Giuseppe Calafiore e Piero Amara: al soldo dei due avvocati, tentava di inquinare i processi dei colleghi magistrati per favorire i loro clienti. Lo scrivono gli inquirenti nell’ordinanza di custodie emessa dalle Procure di Roma e Messina nei confronti di 15 persone, che a proposito della condotta dell’ex pm di Siracusa parlano di “mercificazione della funzione giudiziaria”. I metodi “disinvolti” che le Procure imputano a Longo sono ben esemplificati in uno dei capi di imputazione contestati: quello che riguarda il cosiddetto caso Eni.

Longo, su input di Amara, legale esterno della multinazionale del petrolio dello Stato italiano, avrebbe messo su un’indagine, priva di qualunque fondamento, su un presunto e rivelatosi falso piano di destabilizzazione della società del cane a sei zampe e del suo ad Claudio Descalzi. In realtà, per gli inquirenti che hanno arrestato anche Amara e Calafiore, lo scopo sarebbe stato intralciare l’inchiesta milanese sulle presunte tangenti nigeriane in cui l’amministratore delegato era coinvolto, quella su una presunta corruzione internazionale per una mega tangente da un miliardo e 92 milioni di dollari per la concessione del giacimento petrolifero Opl-245.

Tutto ha inizio nel 2016 quando Alessandro Ferraro, anche lui tra gli arrestati, e collaboratore di Amara, sporge denuncia alla procura di Siracusa sostenendo di essere stato vittima di un tentativo di sequestro. Longo, che conosceva Ferraro in quanto aveva indagato su di lui in passato, si assegna il fascicolo sul presunto rapimento. E comincia a svolgere una serie di indagini con acquisizioni documentali “di dubbia utilità“, dicono gli inquirenti che hanno ricostruito la vicenda, “ma certamente idonee a portare a conoscenza della società Eni l’esistenza di un procedimento penale nel quale risultava in qualche modo coinvolta“. I magistrati parlano di “regia occulta di Amara che, avvalendosi dell’asservimento di Longo, orchestrava una complessa operazione giudiziaria il cui fine ultimo era di ostacolare l’attività di indagine svolta dalla procura di Milano nei confronti dei vertici dell’Eni”.

Ferraro, nel suo rocambolesco racconto, cita la figura di un personaggio, Massimo Gaboardi, tecnico petrolifero “la cui posizione, effettiva attività lavorativa, esistenza di legami con i protagonisti della vicenda, non è ben chiara, né costituì oggetto di approfondimento alcuno”, spiegano gli investigatori. Gaboardi viene sentito da Longo, prima come teste, poi indagato e racconta di un complotto volto a destabilizzare l’Eni. Le sue dichiarazioni vengono confermate da un altro soggetto, Vincenzo Armanna. I due parlano di gruppi di potere italiani e nigeriani che avrebbero complottato per compromettere l’Eni attraverso la delegittimazione di Descalzi. Lo scopo sarebbe stato determinarne la sostituzione con Umberto Vergine, ex ad di Saipem.

Contestualmente sulla storia indaga però anche la Procura di Trani che nel tempo ha ricevuto tre esposti, ma siccome l’origine della vicenda sarebbe a Siracusa gli atti dei colleghi pugliesi vengono trasmessi a Longo. A luglio del 2016, però, il pm è costretto a mandare tutto alla procura di Milano che sull’Eni ha aperto un’indagine per corruzione internazionale. “Nonostante fosse stata disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Milano – scrivono i magistrati che hanno arrestato l’ex pm siracusano – Longo continuava a compiere atti nell’ambito del suddetto procedimento quali la notifica di informazione di garanzia ai dipendenti dell’Eni Luigi Zingales e Karina Litvack e a Umberto Vergine”.

Tra dossier falsi e falsi verbali di interrogatorio – sempre secondo gli inquirenti – si mette su un vero e proprio piano di depistaggio. Per gli inquirenti “Gaboardi era stato pagato da Ferraro per comparire all’interno del procedimento istruito a Siracusa, come depositario di conoscenze relative al presunto complotto ordito ai danni di Descalzi e della società Eni”. I magistrati parlano di “regia occulta di Amara che, avvalendosi dell’asservimento di Longo, orchestrava una complessa operazione giudiziaria il cui fine ultimo era di ostacolare l’attività di indagine svolta dalla procura di Milano nei confronti dei vertici dell’Eni”.

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