Manca un mese al voto e questa campagna elettorale si sta rivelando come previsto una delle più accese della seconda Repubblica. Vediamo chi, fra i leader dei maggiori partiti, si sta muovendo meglio a livello di comunicazione e chi invece sta deludendo. Iniziamo da leader della coalizione in testa nei sondaggi, il centrodestra. Berlusconi ha una croce che fisicamente non riesce più a portare, quella di essere l’unico grande comunicatore del centrodestra. Affaticato ha dovuto interrompere la campagna. Ha però dichiarato di stare benissimo. Questo è abbastanza normale in campagna elettorale, il fatto di nascondere un malore non è una novità. Lo hanno fatto Hillary Clinton recentemente e pure Kennedy all’epoca.
In campagna elettorale si nasconde la malattia perché gli elettori non gradiscono votare per qualcuno che potrebbe essere poco lucido in momenti cruciali oppure non arrivare vivo a fine mandato.
Berlusconi ha comunque confermato nelle settimane precedenti di essere un fuoriclasse delle campagne elettorali, il suo partito crescere ogni volta che lui va in tv e cala quando manca.
Non possiamo dire tuttavia che sia il miglior comunicatore, perché è carente su un canale importante in questa campagna più che mai: i social network.
Berlusconi sbaglia usando i social network come fossero una tv. Impachetta video da pubblicare stile telegiornale, oppure si limita ad annunciare e riciclare apparizioni tv. Non è un tipo social. Questo è comprensibile dall’inventore della privata. Il suo alleato Matteo Salvini è un comunicatore efficace, sia sui social che in tv, come dimostra la crescita della Lega sotto la sua gestione. Ma allora perché non riesce ad imporsi come leader del centrodestra?Il motivo è semplice ed è strano che Salvini, che ha come modello Trump, non lo capisca.
Il presidente degli Stati Uniti è estremista quando parla all’estrema destra. Ma sa quando è il momento di unire, come ha dimostrato col suo discorso sullo stato dell’Unione e in altre occasioni internazionali, assumendo atteggiamenti diversi in base all’unico scopo della sua azione politica: l’interesse nazionale.
Questo a Salvini non riesce. Non sa capire quando è il momento di moderare i toni o quando è il momento di tacere, come di fronte a certe tragedie.
Veniamo alla prima forza politica, il Movimento 5 Stelle
Di Maio è riuscito in un’operazione molto difficile sul piano comunicativo, quella di ribaltare l’accusa di essere il leader degli incompetenti.
In queste settimane ha girato l’Italia su e giù per incontrare decine di imprenditori e rappresentanti di categoria. Il suo stile è stato in grado di far cambiare idea a molti di questi. Infatti – risultato tutt’altro che scontato – molti imprenditori hanno dichiarato di votare 5 stelle.
Inoltre, collaborando con una serie di eletti di fiducia sui territori è riuscito a formare delle liste mettendo nei collegi uninominali persone competenti, provenienti dalla società civile, e parlamentari fra i più stimati. È riuscito così a trasformare la lista degli “incompetenti” nella lista dei “supercompetenti”, come li definisce lui. Questo importante lavoro però non basterebbe a vincere. Questo metodo scientifico manca di cuore e il cittadino non vota in modo razionale (come confermano gli studi del linguista Lakoff e del premio Nobel Kahneman). L’elettore è mosso dalle emozioni. Ha bisogno di qualcosa o qualcuno in grado di suscitarle in lui. Ed ecco che da qualche giorno, a fare questo compensando la comunicazione dei 5 Stelle, è arrivato Di Battista.
Per Alessandro Di Battista faccio un discorso più ampio, oltre la campagna elettorale. A lui va a mio personale giudizio il titolo di miglior comunicatore della legislatura appena trascorsa. Per tre motivi:
1. La sua capacità di arringare la piazza. L’era delle piazze in politica è finita, solo il M5S le riempie. Di Battista, quando parte, lo fa ogni giorno per settimane. Inventa tour, secondo il mito del viaggio dell’eroe. Ogni giorno infiamma una piazza, senza schemi. Improvvisa e lo fa così bene che i suoi interventi sembrano preparati parola per parole. Oppure, si prepara così bene che sembra stia improvvisando. Questo si chiama talento: far sembrare facile una cosa complicatissima. Spara raffiche di dati ma non lo fa freddamente, riesce a mettere il cuore nella matematica.
2. Non ha paura di esporre la famiglia. Negli Usa è la normalità, tutti i politici di rilievo presentano la propria famiglia al pubblico. In Italia invece si è sempre avuto un certo pudore al riguardo, se non paura. Forse la conseguenza di una coscienza poco pulita, oppure una semplice mancanza di trasparenza. Non per Di Battista. Lui ha sempre raccontato gli sviluppi della sua famiglia. Ha parlato della gravidanza della compagna, ha dedicato un libro al figlio. Nel suo tour li porta con sé. Anche se è qualcosa di istintivo per lui: “non potevo stare un mese lontano da mio figlio e la mia compagna” – spiega nei primi secondi di una delle dirette – si tratta di qualcosa di molto efficace in comunicazione.
Inserire la propria famiglia nel racconto di una campagna elettorale funziona perché se agli occhi del pubblico sei in grado di provvedere alla tua famiglia – la quale è in forze e felice – saprai provvedere anche alla nazione. Viceversa, se hai distrutto la tua famiglia, come potrai avere cura del popolo?
3. Come i grandi, lascia all’apice del successo. Come una rockstar che diventa leggenda perché abbandona il suo pubblico nel momento di maggior successo, Di Battista si ritira dalla politica in un momento in cui è probabilmente il più amato del suo movimento. È facile lasciare durante il declino, dopo una sconfitta. Si diventa un grande solo quando si lascia all’apice del successo. Nei momenti difficili tutti continueranno a chiedersi come sarebbe stato con lui, contribuendo alla creazione del mito.
Andiamo ai terzi secondo i sondaggi, il Pd.
Renzi forse ha capito, come ha detto da Barbara D’Urso, che deve tornare in contatto con la realtà. Il distacco dal sentimento reale del Paese l’ha portato a perdere il referendum costituzionale (il suo “se perdo vado a casa” ha funzionato da incentivo a votare No) e a partire con un treno raccogliendo insulti di stazione in stazione.
Pare anche aver capito che deve dichiararsi europeista convinto. È una questione di posizionamento. Se i tuoi avversari sono anti-europeisti, devi posizionarti all’opposto se vuoi intercettare una fetta di voti, quella degli europeisti convinti appunto. Non saranno la maggioranza ma è meglio di niente. Come anti-europeisti gli altri sono più credibili.
Nonostante questi accorgimenti Renzi sa che il Pd è debole e non vincerà. A questo punto – fine stratega politico quale è – Renzi manderà avanti Gentilioni come candidato premier, bruciandolo. Gentiloni, dal canto suo, ci ha preso gusto ad essere il premier e cadrà nella trappola. Due parole anche su di lui, visto che non ne parlo mai ma teoricamente è uno di quelli di cui dovremmo parlare di più perché, se dovesse vincere il centrosinistra, sarebbe probabilmente il nuovo premier.
Gentiloni è uno dei peggiori comunicatori della seconda Repubblica. Proprio per questo probabilmente piaceva tanto agli italiani: per il suo silenzio mentre era al governo.
Questa moderazione però è una soluzione che premia per poco tempo. Lo rende inadatto alle campagne elettorali, perché nel momento in cui comincia a lottare nell’arena diventa come gli altri perdendo consensi. Abbiamo visto un primo esempio di Gentiloni battagliero quando ha attaccato la Raggi. Un atteggiamento fuori luogo rispetto al suo stile, che stride con la moderazione che gli italiani hanno apprezzato.
Uno come lui ha solo da perdere dalle campagne elettorali, che tuttavia esistono, vanno fatte, e vedono gli avversari recuperare terreno.
Concludiamo con gli ultimi in classifica: Liberi e Uguali.
Pietro Grasso ha un volto rassicurante, è stimato da tutti, ma anche lui è totalmente inadatto alle campagne elettorali. A differenza di Gentiloni prova comunque a lanciare qualche slogan e a rispondere alle domande dei giornalisti con battute preconfezionate. Ma la sua voce è tremula, arrossisce in volto, è impacciato, perfino ingessato nei salotti televisivi.
Il carisma che è riuscito a mettere d’accordo anche i caratteri difficili della sinistra ex Pd, non passa assolutamente dallo schermo. Gli slogan non fanno per lui, le telecamere e il dover chiedere voti lo mettono a disagio. Ha bisogno di studiare un po’ di comunicazione. Dopo tutto, se vuoi fare questo lavoro, non puoi farne a meno.