Un’ingerenza inaudita. Solo così si può definire la nota congiunta con cui i ministri dell’Economia e dello Sviluppo Economico, Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda, invitano gli azionisti della società ferroviaria privata Ntv (quella di Italo per intenderci) a rigettare la generosa offerta di un fondo statunitense e procedere con la quotazione in Borsa. Inaudita non solo perché si tratta di un’entrata a gamba tesa del governo in un processo decisionale di un’impresa privata, ma anche e soprattutto perché lo Stato, attraverso il ministero dell’Economia, è azionista unico del principale concorrente di Italo: le Ferrovie dello Stato. Posto che Ntv è al 100% privata e che non è in gioco alcuna infrastruttura strategica (quella di Italo è una mera società di trasporto ferroviario), risulta difficile comprendere a quale titolo i due ministri siano intervenuti, tanto più con una nota congiunta. Vogliono forse difendere “l’italianità” di un business che corre su treni prodotti dalla francesissima Alstom? O temono piuttosto che lo sbarco sul mercato italiano di un fondo specializzato qual è Gip (Global infrastructure partners, che gestisce 40 miliardi di asset nei trasporti, nell’energia e nelle infrastrutture) possa creare problemi in prospettiva proprio alle Fs?
Chissà perché, la seconda ipotesi pare la più probabile. E non è un caso che nel comunicato congiunto dei due ministri venga nominata – unica tra i soci di Ntv – “Banca Intesa” (vale a dire Intesa Sanpaolo), il cui amministratore delegato Carlo Messina giusto martedì 6 febbraio aveva dichiarato senza mezzi termini che “io non faccio l’azionista di una società di treni. La posizione della banca è valorizzare al meglio l’equity. La partecipazione non è strategica, cerchiamo la miglior valorizzazione possibile”. Parole inequivocabili: il fondo statunitense ha messo sul piatto un’offerta da 1,9 miliardi (che sale a 2,4 miliardi considerando il debito) per il 100% di Ntv, molto di più della già generosa valutazione effettuata da Kepler Cheuvreux in vista della quotazione (2,15 miliardi compresi i debiti). Il piano originario di Ntv prevedeva il collocamento in Borsa del 35-40% del capitale e, come si vede, sul piano della valorizzazione delle quote non c’è partita tra l’offerta statunitense e la quotazione a Piazza Affari, tanto più che il fondo Gip offre ai soci di Ntv anche la possibilità di rimanere nel capitale investendo in azioni una parte di quanto incassato con la vendita del 100%. In questo modo si consente a chi lo desidera di non “perdere il treno” della crescita futura della società, incassando comunque subito una lauta plusvalenza. Chi mai rinuncerebbe a tanta grazia?
Se a chiederlo sono però i ministri economici, allora è evidente che il governo è già pronto a mettere sul piatto qualcosa che sia in grado di compensare adeguatamente gli azionisti di Ntv per la rinuncia: nuovi affari, prebende e “aiutini” di vario genere nel più classico scambio di favori all’italiana ammantato da una stucchevole quanto ipocrita retorica sulle virtù della concorrenza: “E’ molto positivo che vi sia un grande interesse da parte di potenziali investitori su Ntv – scrivono Calenda e Padoan -. Il merito va alla capacità degli imprenditori, del management e delle istituzioni finanziarie, a partire da Banca Intesa, che hanno costruito una grande azienda di servizi con investimenti molto significativi e che hanno saputo con coraggio superare anche momenti di difficoltà. Questa operazione dimostra tra l’altro il potenziale della concorrenza nella creazione di posti di lavoro e nel miglioramento dei servizi ai clienti. La quotazione in Borsa della società rappresenterebbe il perfetto coronamento di una storia di successo”. La vendita a un fondo statunitense, invece no.