Presentata la relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sull'uranio impoverito. Pesanti accuse anche al Governo: "Assordanti silenzi". Gli esperti ascoltati hanno riconosciuto il nesso tra tumori ed esposizione. Nel documento si evidenziano "otto meccanismi procedurali e organizzativi" che "oggettivamente convergono nel produrre il duplice effetto di offuscare i rischi incombenti" e "di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere"
Millecento soldati deceduti o ammalati per patologie absesto-correlate solo in Marina. Sono racchiuse in questo numero le “sconvolgenti criticità” scoperte nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro dei militari “in Italia e nelle missioni all’estero” dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito nella relazione finale, approvata con 10 voti favorevoli e la contrarietà di Mauro Pili (Gruppo Misto) ed Elio Vito (Forza Italia). Deputati e senatori, guidati dal presidente Gian Piero Scanu, parlamentare del Pd che non è stato ricandidato, hanno ricostruito quanto avviene nelle Forze Armate italiane. I risultati sono imbarazzanti per i vertici militari e il Governo. Una frase per tutte: la “diffusa inosservanza degli obblighi (…) risulta perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento, dei rischi e delle responsabilità effettive”.
Morti e malattie nel negazionismo dei vertici
Per la relazione, le criticità “hanno contribuito a seminare morti e malattie“, mentre dai vertici la risposta è stato il “negazionismo”, al quale si aggiungono gli “assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo” che hanno ingenerato il dilagare “tra le vittime e i loro parenti” di uno “sconfortante senso di giustizia negata”. Eppure, sottolinea la relazione, gli esperti ascoltati hanno riconosciuto il nesso tra esposizione all’uranio impoverito e tumori. Un’affermazione che ha creato un botta e risposta tra il professore citato dalla Commissione e il presidente della stessa. Raccomandando al prossimo Parlamento di “vigilare con il massimo scrupolo sulle modalità di realizzazione della missione in Niger” anche “per quanto attiene alla valutazione dei rischi, all’idoneità sanitaria e ambientale dei luoghi di insediamento del contingente, alla congruità delle pratiche vaccinali adottate e alle pratiche di sorveglianza sanitaria”, la Commissione definisce “singolare” la “scarsa conoscenza” circa l’uso durante le missioni all’estero di “armamenti pericolosi eventualmente impiegati dai Paesi alleati”.
Le criticità
Per la Commissione d’inchiesta ci sono “otto meccanismi procedurali e organizzativi” che “oggettivamente convergono nel produrre il duplice effetto di offuscare i rischi incombenti” e “di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere”. Tra questi, hanno particolare i datori di lavoro sono hanno poteri “decisionali e di spesa”, la vigilanza su salute e sicurezza è “svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici della Difesa”, la cui azione “si è dimostrata insufficiente”, la “diffusa inosservanza degli obblighi (…) risulta perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento dei rischi e delle responsabilità effettive”, basti pensare che i Responsabili del servizio di prevenzione e protezione e i Medici competenti “in alcuni siti sono risultati addirittura assenti”.
“Senso d’impunità”
Critiche anche alla magistratura penale, i cui interventi “non appaiono sistematici” a tutela della salute dei militari e dunque “nell’amministrazione della Difesa continua a diffondersi un deleterio senso d’impunità” che porta a un “risultato devastante”. Ovvero che “l’idea che le regole c’erano, ci sono e ci saranno, ma che potevano, si possono e si potranno violare senza incorrere in effettive responsabilità”. E i rischi non si limitano solo alle missioni, “rischi minacciosi” riguardano anche “caserme, depositi, stabilimenti militari” sia per “deficienze strutturali”, particolarmente “critiche nelle zone a maggiore sismicità”, sia per “carenze di manutenzione” che per “materiali pericolosi”. La presenza di amianto, spiegano i commissari, “ha purtroppo caratterizzato navi, aerei, elicotteri”.
I 3 casi emersi ora finiti in Procura
In relazione a tre specifici casi emersi nel corso dell’inchiesta, la Commissione ha trasmesso gli atti acquisiti nelle rispettive audizioni presso le procure della Repubblica competenti. Si tratta del militare Antonio Attianese, vittima di una grave patologia insorta a seguito della sua permanenza in Afghanistan, che ha denunciato l’atteggiamento ostruzionistico e le minacce di alcuni superiori. C’è poi il caso sollevato dal tenente colonello medico Ennio Lettieri, che ha affermato di essere stato direttamente testimone, nel corso della sua ultima missione in Kosovo, in qualità di direttore dell’infermeria del Comando Kfor, della presenza di una fornitura idrica altamente cancerogena di cui era destinatario il contingente italiano. Infine, la Commissione ha trasmesso alla procura di Roma gli atti relativi all’audizione del generale Carmelo Covato, della Direzione per il coordinamento centrale del servizio di vigilanza, prevenzione e protezione dello Stato Maggiore dell’Esercito, che aveva affermato che “i militari italiani impiegati nei Balcani erano al corrente della presenza di uranio impoverito nei munizionamenti utilizzati ed erano conseguentemente attrezzati, affermazioni che apparivano in contrasto con le risultanze dei lavori della Commissione e con gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell’intera inchiesta”.