La prima risposta dello Stato italiano all’agguato armato fascista di Macerata è stata visitare i feriti solo dopo 4 giorni, rappresentato dal ministro della Giustizia. La seconda è stata chiedere all’Associazione dei partigiani e ad altre associazioni di non manifestare contro l’espressione più fascista che ci possa essere: l’esplosione di violenza contro il diverso. La terza risposta è stato l’uso dei fatti da parte del ministro dell’Interno Marco Minniti per fare un po’ di propaganda elettorale e per rivendicare che mesi fa, quando parlava di “tenuta democratica a rischio” per via dell’immigrazione, aveva ragione lui. Un ribaltamento della colpa: la responsabilità non è delle destre razziste e fasciste che fomentano i violenti, ma dei neri che arrivano e che lo Stato dovrebbe gestire.
Così i fascisti sparano ai neri e qualche partito continua a dire che è colpa dei neri, lo Stato scompare. Lo Stato, al contrario, non fa nulla per ricordare che la Repubblica è democratica proprio perché fondata sull’antifascismo. Anzi – col sindaco e col governo – costringe chi vorrebbe farlo al silenzio. Per opportunismo, non per debolezza. Lo Stato, così, non solo dà un messaggio ambiguo alle forze politiche dell’estrema destra. Ma – dopo oltre settant’anni – continua ad accettare l’idea che l’antifascismo sia una cosa di parte. Quando invece è un patrimonio di tutti. E’ lì, nell’espressione e nella forza dei principi che fondano la legge delle leggi, che si fonda la sicurezza. Non nella loro censura.
Un ministro dell’Interno che rappresenta la Repubblica e ha giurato sulla Costituzione dovrebbe garantire (domani, oggi, ieri) il massimo della sicurezza per chi vuole manifestare in nome dell’antifascismo, com’è successo per altri versi a Parigi dopo l’attentato al Bataclan. Un ministro che rappresenta la Repubblica e ha giurato sulla Costituzione, orgoglioso del suo passato nel Partito Comunista (che la Costituzione l’ha firmata per mano di Umberto Terracini), sarebbe in cima al corteo dei partigiani.