Lobby

Agenzie di stampa, altolà del vincitore della gara pubblica: “Chi ha perso non cerchi di cambiare le regole”

Il bando voluto dall'Anac non smette di agitare gli editori. Tanto che si arriva perfino a proporre di rimettere dei lotti in gara addirittura alzando il prezzo e azzerando i benefici per le casse pubbliche ottenuti grazie al bando. Ma chi ha vinto non ci sta

Che piaccia o meno il risultato, l’esito della gara tra le agenzie stampa per la fornitura di servizi d’informazione all’amministrazione pubblica non si tocca. L’altolà davanti alle intemerate di chi, uscito sconfitto, vorrebbe cambiare le regole del gioco ex post, è dell’agenzia Dire che, assieme a Mf-Dow Jones, ha vinto il primo lotto (26,4 milioni di euro su tre anni) bandito con la nuova procedura voluta dal ministro Luca Lotti che rompe la tradizione di assegnazione diretta dei fondi pubblici. “La Dire ottiene il punteggio più alto e subito partono gli attacchi di chi non accetta le nuove regole delle gare pubbliche. Ma indietro non si torna”, ha dichiarato in una nota l’editore dell’agenzia Dire, Federico Bianchi di Castelbianco. “L’agenzia Dire ha sin dall’inizio salutato con favore e appoggiato la decisione del Governo di ripartire le risorse destinate alle agenzie di stampa nazionali con bandi pubblici come confermato dall’Anac. Decisione messa in pratica dal Dipartimento dell’editoria che con tenacia e correttezza sta facendo rispettare nonostante le forti proteste e pressioni in atto da tempo”, prosegue la nota. “Eppure fino a qualche mese fa, quando le risorse pubbliche venivano affidate a trattativa diretta (e riservata) nessuna delle altre agenzie aveva protestato o sollevato obiezioni – lamenta l’editore – tranne la Dire da sempre penalizzata nonostante in questi anni avesse investito e assunto nuovi giornalisti senza mai ricorrere alla solidarietà o alla cassa integrazione per scaricare i costi”.

Secondo Bianchi di Castelbianco, la verità è che il sistema di assegnazione delle risorse attraverso gare pubbliche ha fatto emergere i problemi sotto il tappeto di alcune agenzie. E soprattutto la loro forte dipendenza dal finanziamento pubblico. Criticità che sono risultate evidenti “quando si è visto che i lotti vinti e le risorse assegnate erano di molto inferiori a quelle che si prendevano in passato con la trattativa diretta”. Il caso dell’Askanews del banchiere editore Luigi Abete, per esempio, è sotto gli occhi di tutti da settimane: per la prima volta l’agenzia non è riuscita a conquistare una fetta dei contributi pubblici e ha agitato la redazione con inaccettabili ritardi sul pagamento degli stipendi e minacce di nuovi tagli al costo del lavoro. Tanto da spingere i giornalisti a protestare con un sit-in davanti a Montecitorio. In teoria una notevole pressione per la politica in corsa per le elezioni, ma in pratica, al momento, non si mosso niente. O quasi. Secondo quanto rileva Bianchi di Castelbianco, i “problemi” delle altre agenzie “ancora una volta, si sono riversati sull’agenzia Dire che, nonostante avesse vinto un lotto a luglio scorso, si è vista bloccare le nuove risorse mentre le altre agenzie per alcuni mesi sono state retribuite con i vecchi parametri molto più ricchi rispetto ai nuovi lotti vinti”. Tutta colpa di “una protesta contro le nuove regole decise dal governo” in cui “addirittura un ex direttore, oggi collaboratore di Prima Comunicazione, la bibbia dei giornalisti, in un articolo pubblicato online, sembra suggerire che cosa bisogna fare per superare o stallo, recuperando le risorse pubbliche non assegnate da rimettere di nuovo a bando per far vincere chi finora ha perso”.

A scrivere su Prima Comunicazione nei giorni scorsi è stata una vecchia amicizia di Abete: Claudio Sonzogno, ex direttore dell’Asca, ma soprattutto uomo di fiducia del banchiere romano che nel 2009 gli affidò la direzione di Tm news-Apcom, acquistata per 1 euro da Telecom Italia nonostante l’azienda fosse stata appena ricapitalizzata per una decina di milioni, e successivamente fusa con Asca creando Askanews. “Per evitare gravi conseguenze” dal caso, Sonzogno suggerisce al “Dipartimento dell’editoria, guidato da un esperto del settore come Ferruccio Sepe, una volta confermata la vittoria della Dire-Mf Dow Jonesdi mettere “di nuovo all’asta il lotto 6 lasciato dalla Dire”. Non solo: secondo Sonzogno, il Dipartimento dovrebbe anche “aumentare l’importo del bando, tenuto conto del denaro risparmiato col ribasso d’asta nel lotto 1 – prosegue -. E ciò, sia pure con effetti non immediati, darebbe ad Askanews, gareggiando di nuovo e vincendo il lotto 6, la possibilità di poter contare su un nuovo contratto con la pubblica amministrazione di un importo che si avvicini a quello ricevuto per molti anni, determinante per lo sviluppo e l’occupazione dell’agenzia”.

In pratica la proposta di Sonzogno, che pure accusa Dire di dumping oltre ad attaccarne la credibilità, si basa sul meccanismo per cui chi ha vinto più lotti può scegliere quale tenere e chiaramente il criterio di scelta è quello economico. Quindi, se Dire ha lasciato libero il lotto 6 perché meno ricco, per l’ex direttore il ministero dovrebbe rimetterlo in gara alzandone il controvalore approfittando dei risparmi ottenuti grazie alla libera concorrenza. E così, in barba al contribuente e all’Anac, dovrebbe rimettere sul piatto lo sconto ricevuto per poter dare ad Askanews una chance in più per arrivare ad ottenere gli stessi fondi che aveva in passato. Pena, più o meno implicita, il collasso dell’Agenzia che evidentemente non riesce ad offrire i suoi servizi ad un prezzo concorrenziale e basa la sua stessa esistenza sul finanziamento pubblico. In questo modo però la trasparenza e la concorrenza voluta e sostenuta da Lotti andrebbe a farsi benedire, all’insegna di un costume tutto italiano per cui se l’applicazione delle regole non dà i risultati voluti si cambiano le regole. Per questo Dire auspica che “si continuerà ad operare nella legalità” senza “forzare le regole per trarne un vantaggio personale non rispondente alla correttezza e al rispetto degli interessi dell’Amministrazione pubblica”.

E intanto continua l’agitazione dei giornalisti di Askanews che proprio in queste ore si stanno chiedendo come sia “possibile che in quasi 10 anni di gestione Abete, gli unici a mettere soldi nell’azienda siano stati i lavoratori con 5 anni di contratti di solidarietà e Cigs che hanno generato risparmi sul costo del lavoro per oltre 4 milioni di euro? È questo il modo di fare imprenditoria di Abete? E come si concilia con le sue ricette ripetute come mantra nei talk show, in particolare per quanto riguarda investimenti, produttività, valorizzazione della forza lavoro?”.

Aggiornato dalle autrici alle 16.41 del 9 febbraio 2018