Le commemorazioni delle più alte cariche dello Stato per il Giorno del Ricordo. Il capo dello Stato: "Le sofferenze di giuliani, istriani, fiumani e dalmati non possono essere rimosse". Ma Gasparri: "Resta la sensazione di caduti di serie B"
“Le stragi, le violenze, le sofferenze patite dagli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati non possono essere dimenticate, sminuite o rimosse” perché “fanno parte, a pieno titolo, della storia nazionale e ne rappresentano un capitolo incancellabile, che ci ammonisce sui gravissimi rischi del nazionalismo estremo, dell’odio etnico, della violenza ideologica eretta a sistema”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha commemorato le vittime delle Foibe nel Giorno del Ricordo che cade il 10 febbraio. “Una pagina angosciosa“, la definisce il capo dello Stato, una tragedia provocata “da una pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica”. “Le foibe – ha aggiunto il presidente – con il loro carico di morte, di crudeltà inaudite, di violenza ingiustificata e ingiustificabile, sono il simbolo tragico di un capitolo di storia, ancora poco conosciuto e talvolta addirittura incompreso, che racconta la grande sofferenza delle popolazioni istriane, fiumane, dalmate e giuliane”.
Mattarella ha ricordato una volta di più che in quelle terre di confine, anche dopo la Liberazione, violenza ha seguito violenza. “Alla durissima occupazione nazi-fascista nelle quali un tempo convivevano popoli, culture, religioni diverse, seguì la violenza del comunismo titino, che scatenò su italiani inermi la rappresaglia, per un tempo molto lungo: dal 1943 al 1945. Anche le foibe e l’esodo forzato furono il frutto avvelenato del nazionalismo esasperato e della ideologia totalitaria che hanno caratterizzato molti decenni nel secolo scorso. I danni del nazionalismo estremista, dell’odio etnico, razziale e religioso si sono perpetuati, anche in anni a noi molto più vicini, nei Balcani, generando guerre fratricide, stragi e violenze disumane”. Ad aprire le celebrazioni per il Giorno del Ricordo, in Senato, è stato il presidente Piero Grasso che ha sottolineato come quella delle Foibe sia “una ferita aperta per il nostro Paese”. “Conoscerle – ha proseguito Grasso – significa produrre gli anticorpi all’intolleranza, ai pregiudizi razziali, ai regimi dittatoriali, ai nazionalismi“.
Nel massacro delle foibe, perpetrato dall’esercito di liberazione jugoslavo, persero la vita fascisti, militari, ma anche civili e attivisti della Resistenza italiani delle zona della Venezia Giulia e della Dalmazia. Il numero delle vittime non è mai stato stimato con precisione: si parla di circa 10mila, ma potrebbero essere il doppio, proprio perché i corpi delle vittime venivano gettati nelle foibe, grandi inghiottitoi carsici.
Ma il giorno del Ricordo è ancora giorno di polemiche, come d’altronde accade in ogni occasione in cui si dovrebbe cercare una memoria condivisa. Per il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri la cerimonia “avrebbe meritato la celebrazione al Quirinale”. “Importante – sottolinea il senatore di Forza Italia – la presenza a Palazzo Madama del presidente Mattarella. Ma resta la sensazione che ci siano caduti e cerimonie di serie B. Spero che gli organi di informazione dedichino attenzione adeguata a questo dramma italiano ed europeo”. Per altri versi, invece, il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna (centrodestra), ha ricordato che “solo da una decina d’anni gli storici hanno iniziato a denunciare le uccisioni di allora; le foibe sono state un argomento tabù su cui la prima Repubblica ha posto una pietra tombale”. Il primo cittadino di Gorizia ha detto anche che le famiglie dei deportati attendono che vengano aperti gli archivi oltre confine.
Proprio alla vigilia del giorno in cui si ricordano le vittime “infoibate” è morto l’ultimo testimone: Angelino Unali aveva 94 anni e viveva a Cagliari. Arruolato nella Guardia di Finanza nel 1942, dal gennaio 1943 fu inquadrato nella Legione territoriale di Trieste che, durante il conflitto mondiale, operava nella zona nord-orientale dell’Istria. Nel marzo 1945 venne richiamato a Trieste dove, a guerra finita, la popolazione continuava a vivere una nuova ondata di violenza. Nell’eccidio delle Foibe Unali perse 97 colleghi. Lui solo si salvò perchè ricevette l’ordine dal suo comandante di presidiare l’ufficio portuale.