Il nuovo capo dei capi potrebbe rispondere al nome di Stefano Fidanzati, uscito dal carcere il 23 gennaio, palermitano ma della famiglia dell’Arenella da sempre vicina ai boss di Corleone. Oppure a quello di Cosimo Vernengo che, fuori dal 2014, ha rimesso piede in carcere per un breve soggiorno tra novembre e  dicembre, anch’egli è legato a una cosca di Palermo in passato filo-corleonesi. Mentre l’Italia è in campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo c’è l’anti-Stato per eccellenza, quindi, la Cosa nostra siciliana, che si organizza per ritrovare una guida unitaria dopo le morti al 41 bis di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano,  il 17 novembre scorso e il 13 luglio 2016.

 

Cosimo Vernengo

Usciti da poco dalle celle sono di nuovo liberi  di far valere la loro “influenza” per le strade di Palermo alcuni uomini d’onore che preoccupano le forze di polizia. Si tratta di figure in passato quasi di primo piano, considerati in grado di serrare le file e rilanciare la Cupola siciliana per riprendere il posto di mafia-guida dello Stivale, riconosciuta e rispettata anche dalle feroci ’ndrine calabresi (a Reggio attualmente le più agguerrite), da alcune famiglie di camorra campane, dai clan romani ora in ginocchio e dai meno noti pugliesi.

C’è una lista di palermitani papabili: il primo posto è occupato da Stefano Fidanzati, classe 1948, dell’Arenella, libero da 17 giorni; fine pena dopo un anno e quattro mesi di reclusione per estorsione. È il fratello del superboss Gaetano, morto a Milano nel 2013 a 78 anni, ritenuto “mente raffinatissima”, tra i primi  in grado di esportare la mafia al Nord, coinvolto nelle pagine più sanguinarie di Cosa nostra dalla strage di viale Lazio (10 dicembre 1969) all’omicidio del procuratore Pietro Scaglione (5 maggio 1971).

Antonio Lauricella

In prima fila c’è anche Cosimo Vernengo, classe 1966, della Guadagna, già libero dal 2014, il 21 novembre scorso è stato arrestato nel blitz Falco contro la cosca di Santa Maria del Gesù, poi liberato dopo diciassette giorni il 7 dicembre: secondo i carabinieri del Ros avrebbe partecipato al summit del 10 settembre 2015 per “eleggere” Pino Greco capo della cosca, ma il tribunale del Riesame ha accolto il ricorso del legale Raffaele Bonsignore per cui non c’è prova della sua presenza a quella riunione del mandamento mafioso che fu comandato da Pietro Aglieri. Aglieri, superboss in carcere dal 6 giugno 1997,  è uno dei più spietati tra i capi-mafia palermitani schierati dalla parte dei Corleonesi.

È ai domiciliari dal 23 gennaio, stesso giorno della liberazione di Fidanzati, Salvatore Giuseppe Raccuglia, classe 1959, di Altofonte, condannato a due anni e nove mesi per aver favorito la latitanza del cugino, il vecchio padrino Domenico, U vitirinariu, 53 anni, già al servizio di Giovanni Brusca e considerato, al momento dell’arresto il 15 novembre 2009 a Calatafimi (Trapani), il numero 2 di Cosa nostra.  Segue il nome di Scintilluni (perché – dicono – riluce di eleganza) Antonio Lauricella, detto anche “Nino il bello”, classe 1954, ritornato libero per le strade arabe della Kalsa, cuore storico di Palermo, dal 2 novembre 2017; condannato l’ultima volta a sette anni e mezzo per estorsione fu arrestato nel 2011, era latitante da sei anni.

Salvatore Raccuglia

E a Castelvetrano, cinquanta minuti scarsi di auto da Palermo, il fantasma di Messina Denaro aleggia ancora, anche se come dice un oste ad avventori della trattoria Da Giovanni “qui Matteo non si vede dagli anni Ottanta; siamo sempre al centro dell’attenzione, ma di sicuro lui non è qui”. Bocciato come nuovo capo da Totò Riina, intercettato in carcere nel 2013, rimane il boss più affascinante dal punto di vista mediatico: la sua lunga latitanza dura dall’estate del 1993. Tra gli organizzatori del rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, poi sciolto nell’acido, sarebbe il capomandamento di Castelvetrano dalla morte del padre Francesco, ucciso da un infarto nel 1998 durante la latitanza. Ma non solo a Palermo, neppure nel Trapanese ci sarebbero da ormai molti anni  segnali del suo effettivo comando, nonostante i tanti fiancheggiatori via via arrestati. Preferirebbe la bella vita, il lusso e gli affari allo scettro di Cosa nostra: che, comunque, i boss di Palermo oggi non gli vorrebbero concedere, si legge nel rapporto sul primo semestre 2017 della Direzione investigativa antimafia.

Messina Denaro

La relazione della Dia è stata trasmessa da pochi giorni alla Camera dei deputati: “Si prospetta la formale apertura di una nuova epoca, quella della mafia 2.0, sempre più al passo con i tempi, che confermerà definitivamente la strategia della sommersione e non dovrebbero profilarsi guerre di mafia per sancire la successione di Riina. Appare, infatti, superata per sempre l’epoca della mafia violenta, che ha ceduto il passo a metodologie volte a prediligere le azioni sottotraccia e gli affari, sovente realizzati attraverso sofisticati meccanismi corrusivi e corruttivi”. E ancora: “Proprio in questa logica, potrebbe farsi spazio l’ipotesi di un accordo tra i capi più influenti, rivolto alla ricostituzione di una sorta di cabina di regia, simile ma diversa dalla Commissione provinciale (che non risulta essersi più riunita dopo l’arresto dei capi storici), intesa quale organismo unitario di vertice, con un prevedibile ritorno in scena dei palermitani. È il tempo delle scelte. Per troppi anni si è protratta una situazione di stallo”. Mentre la stella del trapanese Matteo Messina Denaro non brilla più e i padrini palermitani discutono sul futuro dell’organizzazione, non bisogna  escludere una possibile  egemonia catanese, perché i Mazzei – spietati quasi quanto i Corleonesi, Santo ‘u carcagnusu al 41 bis dal ’92 era vicinissimo a Riina – rivaleggiando  coi Santapaola, aumentano l’influenza sulla Sicilia orientale.

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