Facciamo un bilancio sul consumo di televisione nell’anno trascorso. I dati confermano le principali tendenze: la graduale perdita di telespettatori, l’invecchiamento del pubblico e la prevalenza, fra i telespettatori, di chi ha una bassa istruzione. Dal 2010 la platea televisiva della prima serata scende di -5%, mentre la popolazione (da quattro anni in su, come il panel Auditel) cresce di +1%, quindi c’è un calo reale inferiore a un punto percentuale in media ogni anno.

Il calo non è così consistente come molti suppongono, magari perché scontenti della programmazione televisiva (spesso i maggiori detrattori della Tv sono proprio i suoi maggiori utilizzatori). Su questo versante, le prospettive non sono pessime, considerando che il medium concorrente, il web, è spesso complementare e non alternativo alla stessa televisione. Il dato più preoccupante per la televisione è il fatto che diminuisce il pubblico più giovane e con una scolarizzazione più elevata, mentre aumenta, seppur in misura inferiore, quello più anziano e con il titolo di studio più basso. La Tv rischia di non essere più il mezzo di comunicazione per tutti, prerogativa che l’ha resa il mezzo più forte, ma un mezzo fruito soprattutto da anziani e meno scolarizzati. Vediamo i dati. La perdita di telespettatori nell’ultimo anno si è verificata essenzialmente nel target 25-54anni (-5% nel 2017 contro -3% dell’intera platea televisiva).

È la fascia di età che maggiormente interessa gli investitori pubblicitari, non a caso definito target commerciale (sul quale, per inciso, Mediaset batte costantemente la Rai), in quanto rappresenta i consumatori dei classici prodotti di massa e di marca. Sono le giovani famiglie, naturalmente predisposte ai consumi dei beni necessari a “tirar su la casa”. Sono nel contempo persone che vedono poco la classica Tv generalista; possono guardarla con i figli nel preserale (l’occasione è buona per plaudire la Rai per aver tolto la pubblicità da RaiYoyo) e magari occupano il divano la sera tardi per vedere le serie più famose su qualche tv a pagamento.

Se davanti alla tv diminuiscono di netto i “ricchi” consumatori, è ovvio che gli inserzionisti “fuggano” da questo mezzo. Rimarrà una pubblicità “povera”, quella relativa ai prodotti di basso livello. La Tv in generale rischia di entrare in una spirale verso il basso: i giovani fuggono dal video televisivo ed i programmatori televisivi non riescono più a catturarli, nel contempo i grandi inserzionisti abbandonano lo schermo televisivo (riservandosi solo i grandi appuntamenti, da Sanremo alle partite di calcio), per cui ai network non rimane come unica soluzione, valida per la sopravvivenza, che puntare sui target marginali. Inevitabilmente si avrà una Tv sempre più “povera” nei contenuti.

L’invecchiamento della Tv è rappresentato dai grafici. Gli over 55anni rappresentano il 36% della popolazione ma sono il 51% dell’intero pubblico televisivo. I giovani 25-34anni sono invece il 10% della popolazione ma solo il 5% del pubblico televisivo. Nel contempo il gruppo di chi ha un’istruzione elementare rappresenta il 19% della popolazione e il 26% del pubblico televisivo. L’ultimo grafico rileva che non tutte le televisioni sono uguali. Sky, per esempio, ha un pubblico molto giovane, mentre Mediaset sembra rappresentare meglio degli altri la società. La Rai invece ha un pubblico composto in prevalenza da anziani: il 65% del pubblico appartiene alla fascia di età superiore ai 55anni. La probabilità che un giovane (15-24anni) guardi un programma della Rai è pari al 3%. Un servizio pubblico che non sia utilizzato da tutti, che non sia lo specchio della società, rischia di perdere la sua natura.

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