“Durante i primi festival sanremesi, l’interprete era davvero un mezzo: lo dimostra il fatto che pochi interpreti cantavano più canzoni. In gara erano le canzoni insomma, chi le cantava era ‘solamente’ il loro strumento di comunicazione. Le cose sono cambiate, e Sanremo, da Festival della canzone è diventato Festival dei cantanti”. A parlare è il critico musicale Federico Capitoni, che riesce a sintetizzare in poche parole quel diffuso disinteresse che molti degli addetti ai lavori nutrono verso un festival che tutto celebra fuorché la canzone. Da Festival della canzone italiana sanremo dovrebbe cambiare il nome in Festival dei cantanti italiani, perché di fatto questo è: a venire premiati sono solo gli interpreti, raramente veri coautori dei brani che portano in gara, mentre tutti coloro i quali costituiscono la vera colonna portante dell’industria musicale pop italiana non ricevono, oltre alle solite fugaci menzioni, alcun genere di riconoscimento.
Mancando il premio, il riconoscimento e la conseguente celebrazione mancano dunque quei diritti di visibilità che a più riprese un produttore come Alberto Salerno ha invocato sulla propria bacheca Facebook: “Gli autori hanno una dignità, e spesso i loro diritti d’immagine vengono calpestati (…) I cantanti poi ci mettono pure la loro, dimenticandosi di citare chi ha collaborato nella creazione. Non hanno memoria, strano”. Mentre kermesse musicali come i Grammy Awards riservano ai veri autori dei brani riconoscimenti di vario tipo, tra cui il grammy per il miglior arrangiamento, quello per il miglior produttore e ancora quello per il miglior ingegnere del suono, Sanremo continua a cullarsi in una sorta di medioevo culturale dal quale difficilmente, viste le abitudini di pensiero oramai consolidatesi, riusciremo a uscire.
Cosa sarebbe la notte degli Oscar se dei film in gara ricevessero un riconoscimento i soli interpreti di soggetti, sceneggiature e regie altrui, ossia gli attori? Ben misera sarebbe questa rinomata kermesse cinematografica se, appunto, ci si limitasse a dare un riconoscimento a coloro i quali, a ben vedere, non sono più di una parte del complesso ingranaggio che costituisce l’industria cinematografica. Nella celebre notte holliwoodiana possiamo dunque assistere alla premiazione di registi, soggettisti, sceneggiatori, direttori della fotografia, montatori, costumisti, ecc., perché ognuno dei migliori protagonisti di quella articolata macchina artistica che è il cinema deve giustamente vivere il proprio momento di gloria, quel momento nel quale il proprio ruolo, la propria figura professionale e dunque la relativa importanza assumono significato agli occhi del grande pubblico.
È questo, a ben vedere, il trionfo di una visione collettivista e democratica che, se è peculiarità dei popoli anglosassoni, difficilmente riesce a farsi spazio nei paesi latini. A Sanremo assistiamo invece al trionfo dell’individualismo, un individualismo, tra le altre cose, assolutamente spostato su soggetti che, nell’economia produttiva del mondo musicale pop, ricoprono un ruolo non certamente più importante di chi, da dietro le quinte, determina successi e glorie altrui. A Sanremo continua a essere premiata e dunque riconosciuta quella sola parte dell’ingranaggio dell’industria musicale paragonabile, in ambito cinematografico, agli attori, ovvero i cantanti, figure che, stando così le cose, si ritrovano a fagocitare tutte le restanti maestranze dell’industria musicale.
E siccome l’immagine è tutto, e se non compari non esisti, allora ecco che magicamente le canzoni nascono direttamente dalla bocca di chi le canta e non certo dalla testa e dalla mano di chi le pensa, le scrive, le arrangia, spesso le dirige e infine le registra. Perciò, in conclusione, restando con l’affermazione di Federico Capitoni, il Festival di Sanremo ha dinanzi a sé un bivio: o continua a premiare i soli interpreti cambiando però al tempo stesso nome (da Festival della canzone italiana a Festival dei cantanti italiani) oppure decide finalmente di evolversi e avvicinarsi a kermesse, come i Grammy Awards e gli Oscar, nel corso delle quali si dà a Cesare quel che è di Cesare: “Personalmente – conclude Capitoni – sogno di un Festival in cui il premio venga dato agli autori, se è festival della canzone e non del cantante; che siano loro a scendere le famose scale per ritirare il premio”.