Un aumento per 1,2 milioni di statali. Proprio a un mese dalle elezioni e, guarda caso, ancora vicino ai famosi 80 euro di Matteo Renzi. Alla vigilia delle Politiche, il governo riprova l’operazione “bonus” che tanto portò al Pd alle Europee 2014. Stavolta lo strumento è quello del rinnovo del contratto del comparto scuola, che docenti e collaboratori aspettavano da dieci anni e vale per le casse dello Stato circa un miliardo e mezzo di euro. Finalmente ci siamo, e ai diretti interessati interessa poco della tempistica sospetta: maestri e professori avranno qualche decina di euro in più in busta paga (tra gli 80 e i 110 euro), un indennizzo “una tantum” per tutti i soldi persino nell’ultimo decennio e soprattutto la possibilità di trasferirsi ogni anno fino a quando non avranno ottenuto la sede desiderata, così da aggirare il vincolo di permanenza fissato dalla Legge 107.
LA RIFORMA DIMEZZATA – La trattativa, andata avanti per mesi e conclusa in nottata al Ministero, era per il rinnovo del contratto fermo dal 2010, ma in realtà ha sempre riguardato soprattutto la Buona scuola: il vero tema era quanto i sindacati sarebbero riusciti a smontare la riforma più contestata dal mondo dell’Istruzione. La risposta è: circa la metà. Come le risorse che vengono spostate dalla valutazione dei docenti all’adeguamento a pioggia di stipendio: visto che le risorse messe a disposizione dal governo non erano sufficienti per tutto il comparto, i sindacati chiedevano di portare sul contratto tutti i 200 milioni del bonus di merito che tante polemiche ha generato negli istituti. Il compromesso è stato trovato a metà strada (80 milioni per il 2018, poi 100 a regime dal 2019). Non è stato invece possibile toccare, anche per ragioni tecniche (serviva una norma ad hoc in manovra, per cambiarne la destinazione d’uso), i 380 milioni della “card”, i 500 euro che i docenti continueranno a ricevere per spese (più o meno) professionali, e che qualcuno avrebbe preferito intascare come aumento di stipendio.
GLI AUMENTI: DA 80 A 110 EURO – I milioni stornati dal fondo per la valutazione finiranno nella parte della retribuzione professionale docente (Rpb) della busta paga, quella che definisce il ruolo e la professionalità dell’insegnante e cambia a seconda del grado di scuola: una scelta fortemente voluta dal Miur per continuare a dare una parvenza meritocratica al provvedimento. Così l’aumento premierà a scalare più i professori di liceo, quindi quelli della scuola secondaria di primo grado e un po’ meno i maestri: si va da un minimo di 85 euro in più al mese per i maestri appena assunti nella scuola dell’infanzia, a un massimo di 110 per i professori di liceo con oltre 35 anni di anzianità. Parallelamente, verranno ridotti alla metà i bonus di merito ai docenti, visto che sul piatto restano solo 100 milioni per le oltre 8mila istituzioni scolastiche del Paese: ma di questo in pochi saranno dispiaciuti. Per altro la parte rimanente del fondo d’ora in poi non sarà più a discrezione del preside, ma contrattata con le rappresentanza sindacali all’interno dell’istituto.
L’INDENNIZZO DA 400 A 700 EURO A TESTA – In più, i sindacati sono riusciti ad ottenere una sorta di “indennità di vacanza contrattuale” per i dieci anni di mancato adeguamento. Per ricostruire tutti gli stipendi sarebbe servita praticamente un’altra manovra, così i docenti dovranno accontentarsi di un bonus “una tantum”, che però non sarà solo simbolico: si va da un minimo di 370 euro ad un massimo di 720 euro lordi a testa. È anche e soprattutto questa la parte che fa lievitare le cifre del provvedimento, che arriverà a costare allo Stato poco più di 1,5 miliardi di euro.
TRASFERIMENTI OGNI ANNO – Una delle parti più significative dell’accordo, però, non riguarda i soldi ma la mobilità: di fatto, la contestatissima chiamata diretta e il vincolo di permanenza triennale stabilito dalla Legge 107 vengono neutralizzati una volta per tutte. I docenti neoassunti continueranno ad entrare in ruolo con il meccanismo della riforma (loro scelgono un ambito a seconda della posizione in graduatoria e poi ricevono la proposta di lavoro dal dirigente), ma poi potranno chiedere il trasferimento un numero illimitato di volte, fino a quando non saranno accontentati. La mobilità entra nel contratto e avrà cadenza annuale: gli insegnanti possono chiederla ogni estate, direttamente su scuola (quindi non più solo su ambito); una volta che ottengono la sede desiderata, però, scatta il vincolo triennale previsto dalla Legge, in modo da garantire la continuità didattica.
I SOLDI A MARZO (QUANDO SI VOTA) – Il documento è stato sottoscritto da tutti i sindacati confederali: “Aumenti in linea con quanto promesso, nessun surplus di carico e orari di lavoro, nessun arretramento per quanto riguarda le tutele e i diritti nella parte normativa”, scrivonoFlc Cgil, Cisl e Uil Scuola in una nota congiunta. Soddisfatta anche la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli: “Avevamo preso un impegno preciso, lo abbiamo mantenuto”. Hanno detto no, invece, Gilda e Snals, che giudicano insufficienti le risorse messe a disposizione dal governo: soltanto riciclando una parte dei fondi della Legge 107, infatti, è stato possibile raggiungere l’aumento di 90 euro medi a docente. L’accordo comunque è fatto e adesso dovrà essere ratificato ufficialmente dall’Aran lunedì: i prossimi passaggi sono l’ok della Corte dei Conti, il via libera del Consiglio dei Ministri e quindi lo sblocco dei pagamenti da parte del Tesoro. Il nuovo contratto avrà decorrenza a partire da marzo: aumenti ed arretrati arriveranno quindi in busta paga probabilmente ad aprile, ma al governo non escludono di poter anche anticipare i bonifici. Magari addirittura entro il 4 marzo: giusto in tempo per le elezioni.