In quest’epoca che annerisce, dove la prepotenza ha preso talmente coraggio da prendere pure una pistola, c’è un vuoto, grande. Si colma, ma in apparenza, in quei giorni che ormai sono rossi solo nel calendario. Ricordati di sventolare alle feste, l’ultimo comandamento rimasto.
Oppure sussulta come l’orgoglio del marito tradito, che sente di amare la moglie quando è ormai tra le braccia di un altro. Manifestazioni dopo gli skinhead di Como, belle parole dopo la carnevalata sotto Repubblica, discorsi importanti dopo Macerata. Dopo, sempre dopo.
Eppure l’antifascismo, prima che risposta, dovrebbe essere affermazione costante. La domanda, fatta col braccio teso, è già arrivata quasi un secolo fa. Oggi riemerge dalle pagine, mai lette, della storia, e piega il punto interrogativo fino a farlo dritto come un’esclamazione. O come una spranga.
L’antifascismo, impegno a tutela dei valori della libertà, ha fallito. Troppo a lungo si è specchiato senza guardarsi intorno. Si è sentito ancora giovane tra le frange della sinistra nostalgica, rassicurato da una propaganda che parla ancora di lotta e proletariato. Antifascismo retrò, a volte fricchettone. Si è piaciuto nel suo aspetto più narciso, fatto di letture solenni che presuppongono superiorità d’élite e profondissima teoria. Antifascismo radical chic.
Che sia dell’una o dell’altra fronda, tra loro per giunta divise, resta antifascismo di nicchia, con le incoraggianti eccezioni che faticano ad accorciare la distanza con i giovani, sempre più sedotti dal fare militaresco dei neofascisti. E la sconfitta è proprio questa: mentre la sinistra si divide e se la tira, quegli altri si compattano e tirano dentro centinaia di ragazzi. Finiranno omologati nell’aspetto e nel pensiero nero come il vuoto, voci grosse da balbettare solo nel coraggio del branco. A volte attaccheranno con la colla (i manifesti), altre con i pugni (i deboli). Poi si rintaneranno lasciandoci borbottare qualcosa di risoluto finché non ci passerà.
Per riprendere il suo posto nella società di cui ha scritto la Costituzione, l’antifascismo deve tornare a essere patrimonio italiano da trasmettere. Dai media e dagli adulti. Serviranno tempo ed educazione. Magari grandi uomini. Oppure ci vorrà un male tanto grande ed eclatante da costringerci a reagire, tutti. Scettico e timoroso, auspico che sia lo Stato a fare ciò che lo Stato prevede: sciogliere associazioni e partiti evidentemente e dichiaratamente fascisti. Non averlo fatto finora è stato un altro fallimento. Abbiamo tollerato l’intolleranza al punto che a momenti entrerà nelle nostre istituzioni. E lo farà legittimamente, attraverso elezioni, avvolta dal diritto a esprimere ciascuno la propria idea. Ma il mezzo, il voto, non è battesimo che lava dall’illegalità originale, dall’apologia. Se un calciatore è squalificato non solo non può segnare ma nemmeno entrare in campo; se un movimento è fascista non può essere eletto ma nemmeno votato. E non è solo ciò che la legge dice, è ciò che la legge fa. Magari per una volta prima, non dopo.