Qualche fiore, inchini muti, anonimi sulla lapide che in piazza Dalmazia, a Firenze, ricorda l’agguato in cui, il 13 dicembre 2011, Gianluca Casseri, simpatizzante di estrema destra, uccise con una pistola Smith & Wesson 357 Magnum, Samb Modou, 40 anni, e Diop Mor, 54 anni e ferì gravemente Moustapha Dieng, oggi 41 anni, provocandogli una lesione spinale che lo ha reso disabile. Un episodio che ricorda per forma e sostanza quello di Macerata, per caso non nel numero di morti. In quel caso, braccato dalla polizia, Casseri si suicidò con la stessa pistola con cui aveva ammazzato i due senegalesi e averne feriti altri tre. A questi il 2 giugno 2013 l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano concesse la cittadinanza italiana. Sul luogo della strage ogni anno il Comune di Firenze, che ha concesso la cittadinanza italiana a Ndeye Rokhaya Mbegue, la vedova di Samb Modou, tiene una cerimonia commemorativa, alla quale partecipano i capi delle comunità religiose presenti in riva all’Arno.
Dopo il raid razzista di Macerata il ricordo dell’agguato di Firenze è riaffiorato quasi labile, nebbioso, incerto. Qualche fiore di cittadini sulla lapide, appunto. Qualche dichiarazione dell’autorità poi tanta rimozione. “Temo che il razzismo ormai sia alimentato e che occorra fare di tutto per dire no a questa cosa e per dire che noi non ci stiamo. Il rispetto per tutti è alla base della nostra Costituzione”, ha dichiarato il presidente della Regione Enrico Rossi. E il cinguettìo del sindaco Dario Nardella: “Esprimo la mia totale vicinanza alla città di Macerata – ha scritto su twitter il primo cittadino – Anche Firenze conosce quel dolore, ma non ci siamo abbassati al loro livello. A chi usa la violenza per seminare odio, noi rispondiamo con i nostri valori di solidarietà e di civile convivenza”.
Esprimo la mia totale vicinanza alla città di #Macerata. Anche Firenze conosce quel dolore, ma non ci siamo abbassati al loro livello. A chi usa la violenza per seminare odio, noi rispondiamo con i nostri valori di solidarietà e di civile convivenza.
— Dario Nardella (@DarioNardella) 3 febbraio 2018
Chi si aspettava, come Pape Diaw e Diop Mbaye, leader della comunità senegalese in Toscana, cortei o manifestazioni per ricordare i due morti e i tre feriti dell’agguato razzista di otto anni fa, è rimasto deluso. “Quanto successo a Macerata poteva essere un’occasione di ripartenza anche per Firenze”, polemizza Pape Diaw. Tommaso Grassi, capogruppo in Palazzo Vecchio di Sel e Prc, lamenta che dopo Macerata non ci sono state reazioni da parte del Comune “anche se è scontato il paragone tra i due atti fascisti e razzisti… Quindi qualcosa poteva esser fatto in più ma forse si preferisce rimuovere i parallelismi”.
Firenze chiama Macerata. Quasi in silenzio. Distratta. “C’è un calcolo politico che rimpicciolisce la politica a cui manca una radice spirituale”, sintetizza Massimo Toschi, consigliere della Regione per la cooperazione. Le elezioni incombono e il tema degli immigrati pesa come un macigno: si preferisce rimuovere quel 13 dicembre 2011. “Sono evidenti le analogie fra Firenze e Macerata ma questo parallelismo non è stato abbastanza sottolineato”, osserva Severino Saccardi, intellettuale cattolico, direttore della rivista Testimonianze, fondata da padre Ernesto Balducci.
E questo clima di rimozione sembra aver investito anche la Chiesa, come denuncia don Massimo Biancalani, il parroco pistoiese contro il quale si è scagliato il leader leghista Matteo Salvini e Forza Nuova per le sua iniziative di accoglienza degli immigrati. Che aggiunge: “Firenze, la città di Giorgio La Pira, sicuramente si è dimenticato il terribile agguato di piazza Dalmazia. Anche l’ultimo anniversario mi sembra che sia passato in sordina. A Pistoia quest’anno qualcosa si è mosso. Duecento persone si sono ritrovate a Vicofaro per fare una fiaccolata fino al centro della città. Hanno aderito in molte associazioni e organizzazioni. Finalmente un primo passo dopo molti anni di sostanziale silenzio”.