Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia

La campagna elettorale che (faticosamente) si sta svolgendo in queste settimane, tiene sullo sfondo dei temi trattati i costi della politica, intesi come rimborsi a eletti e spese per la gestione dei corpi elettivi.

L’analisi di questi numeri non può che partire dalle Camere ove, attualmente i deputati percepiscono un’indennità lorda di 11.703 euro, che diventano 5.346,54 euro mensili netti, oltre a una diaria di 3.503,11 e un rimborso per spese di mandato che ammonta a 3.690 euro. Si devono ancora conteggiare 1.200 euro annui per rimborsi telefonici e  una cifra che va da 3.323,70 a 3.995,10 euro per i trasporti, erogata ogni 3 mesi.

Ai senatori viene invece liquidata un’indennità mensile lorda di 11.555 euro. Al netto restano 5.304,89 euro, oltre la diaria di 3.500 euro, un rimborso per le spese di mandato pari a 4.180 euro e 1.650 euro al mese che dovrebbero coprire forfettariamente le spese telefoniche e di trasporto.

L’ammontare totale percepito equivale ogni mese a 14.634,89 euro per i senatori e a 13.971,35 euro per i meno fortunati deputati.

Il sito Money.it riporta uno studio inglese sugli stipendi dei parlamentari delle varie Nazioni europee, secondo il quale che il costo di un parlamentare italiano equivarrebbe a circa 120.500 sterline all’anno, all’incirca il doppio di quelli inglesi (circa 66.000 sterline) e molto più di quelli dei politici tedeschi e francesi, per non parlare di quelli spagnoli fermi a un sesto della cifra.

A questi compensi non dimentichiamo di aggiungere una rendita di cui i nostri eletti potranno godere dal compimento del sessantacinquesimo anno (bastano 60 anni se le Legislature sono almeno due), equivalente a circa 950/1.000 euro mensili. Ridotti rispetto ai vitalizi in vigore per il passato, ma ugualmente interessanti visto che maturano con solo 4 anni, 6 mesi e un giorno di esercizio della carica.

Il pensiero dei 2.600 vitalizi che stanno venendo ancora pagati, porta ai Bilanci di Camera e Senato ed alle loro dinamiche.

Parliamo innanzitutto di Montecitorio, che ha previsto nel suo Documento previsionale, un incremento della spesa per il suo mantenimento pari all’1,85% (17,6 milioni) portando così il totale a carico dello Stato a 968.124.571 euro. Più “responsabile” si dimostra invece il Senato, che ha approvato un bilancio preventivo di 551 milioni, in calo del 2% rispetto all’anno precedente.

Evidenziamo a questo punto alcuni punti importanti dei bilanci. Non aumentano i compensi dei Deputati, come sopra specificati, che assommano i 144 milioni 905mila euro. La Camera enuncia 136,1 milioni per spese previdenziali a favore di Deputati cessati dal mandato (siamo in conclusione di Legislatura) oltre a 175,2 milioni per emolumenti dei Dipendenti, in crescita dopo la fine del taglio alle indennità di funzione degli alti dirigenti decorrente dal primo gennaio di 4,5 milioni rispetto al 2017. Queste cifre non sono comprensive di altri 36,4 milioni di contributi previdenziali. Termineremmo questo excursus elencando i 16,6 milioni che se ne andranno per la manutenzione ordinaria di Palazzo Montecitorio e delle sedi distaccate, 2,14 milioni previsti per il servizio ristorazione, 4,6 milioni per le forniture di acqua, luce e gas e 13 milioni per servizi informatici.

A Palazzo Madama, un quinto delle spese sono previste per stipendi dei Dipendenti (100 milioni 580mila euro, in aumento di 1,6 milioni per le note dinamiche), oltre 86 milioni sono previsti per vitalizi ai Senatori “quiescenti” e 79,7 milioni riguarderanno i compensi dei Senatori in carica. Previsti 9 milioni per i servizi informatici e 5,47 quelli per comunicazioni istituzionali. Ancora, 151 milioni verranno erogati per le pensioni di ex-Dipendenti mentre, interessante, saranno 22 i milioni a favore dei Gruppi Parlamentari.

Quest’ultima voce ci porta a parlare dei rimborsi ai raggruppamenti politici per spese elettorali. L’ultima legge sul finanziamento ai partiti approvata nel 2014 dal governo Letta, ed entrata a regime nel 2017, prevede l’azzeramento totale dei vecchi rimborsi elettorali, rimpiazzati dal sistema del 2 per mille, in favore dei movimenti politici iscritti in un apposito registro. Questo ha portato, secondo una ricerca pubblicata da OpenPolis, al calo del 61% dei fondi loro disponibili, non essendo decollato il sistema alternativo dei contributi detraibili dalle imposte, effettuati di privati e aziende.

Queste regole prevedono che si possa versare una cifra non superiore ai 100 mila euro a favore di partiti registrati che dichiarano di voler accedere al meccanismo, con l’obbligo di dichiarazione sui registri dei nominativi di coloro che li hanno effettuati. Ma la normativa sulla privacy consente di omettere i nomi dei finanziatori che non hanno rilasciato il consenso alla pubblicazione dei dati personali. Il risultato è palese: poca trasparenza e dubbi sulla provenienza dei fondi raccolti. Con il risultato ulteriore che la raccolta da persone fisiche si è attestata alla miseria di 12,4 milioni, assolutamente insufficienti per le voraci casse dei partiti.

Anche questo è il motivo per cui la campagna elettorale è sottotono, poche spese e utilizzo smodato della rete e delle televisioni. Sempre tenendo lontano dai temi trattati il costo dei Palazzi che tanto fanno arrabbiare i cittadini.

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