Le Olimpiadi di Calgary del 1988 vengono ricordate da tutti per la partecipazione della squadra giamaicana di bob a quattro. Un’impresa diventata poi un film, Cool runnings, uscito nel 1993. Ma in pochi ricordano che a quei Giochi invernali partecipò anche Michael Edwards. Ipermetrope, quindi costretto a correre con pesanti occhiali da vista sotto la maschera, e con una forma fisica non invidiabile, Eddie The Eagle fu l’unico rappresentante della Gran Bretagna nel salto con sci. Quel folle pronto a lanciarsi dal trampolino divenne un idolo e spinse il Comitato olimpico internazionale a varare la Eddie The Eagle’ rule: una norma che restringeva le possibilità di partecipazione ai Giochi per evitare che il fenomeno si ripetesse. Ma il mondo dallo sport è dal 1936 e dai 4 ori di Jesse Owens alle Olimpiadi di Hitler che si ribella a regole, muri e convenzioni.
Aspettando un altro Bradbury
A trent’anni da Calgary e dall’impresa dei giamaicani, ai Giochi di Pyeongchang 2018 tutto il mondo seguirà e tiferà le nazionali di bob femminili di Nigeria e Giamaica, il ghanese Akwasi Frimpong lanciarsi a pancia in giù con lo skeleton, la prima donna kenyota a cimentarsi con gli sci, mentre in Italia magari salirà la febbre per il curling, dopo la storica qualificazione della squadra maschile. Sono le altre Olimpiadi: storie di immigrati, di sognatori, di perdenti in partenza o di futuri Steven Bradbury.
Il bob nigeriano? Come la nave dei padri pellegrini
Aveva un anno Seun Adigun quando i quattro ragazzi giamaicani del bob finivano la loro avventura olimpica capottandosi a poche curve dal traguardo. Da bambina il film Cool Runnings lo ha visto almeno una decina di volte, ma per una nigeriana nata a Chicago, in Illinois, i sogni sono tutti rivolti all’atletica. E sulla pista Seun se n’è tolte di soddisfazioni vincendo l’oro nei 110 ostacoli ai campionati africani e qualificandosi per le Olimpiadi di Londra 2012. Dopo quell’esperienza decise di prendersi una pausa. E guardando Sochi 2014 le sono tornati alla mente Cool Runnings, il bob e i sogni di portare per la prima volta il suo paese, la Nigeria, alle Olimpiadi invernali. Così ha reclutato le colleghe Ngozi Onwumere, oro nella staffetta ai campionati africani del 2015, e Akuoma Omeoga, per formare la prima squadra di bob a due nigeriana. Con un budget di circa 150mila dollari, una raccolta fondi e un bob di legno chiamato “Mayflower” – come la nave dei padri pellegrini considerati i primi immigrati del Nord America – è partita l’avventura che le ha portate fino a Pyeongchang.
Il sequel di Cool Runnings
Lo stesso giorno in cui le nigeriane hanno ottenuto il pass per la Corea del Sud, ha festeggiato la qualificazione anche la squadra giamaicana di bob a due. A 30 anni da Calgary, Carrie Russell, Audra Segree e la pilota Jazmine Fenlator-Victorian sono pronte a scrivere il sequel di Cool Runnings, magari anche con un finale diverso, visto che l’obiettivo è almeno entrare nella top ten. Fenlator-Victorian è nata a Pequannock Township, sperduto comune del New Jearsey dove emigrò suo padre giamaicano: ha già partecipato ai Giochi con gli Usa, poi ha scelto il suo Paese d’origine. Il team è composto da due ex velociste, che sognavano le Olimpiadi estive e si ritroveranno in un bob a lanciarsi giù per un budello di ghiaccio.
Lo skeleton di Simidele, ex triplista
Che poi è anche la storia di Simidele Adeagbo, l’altra grande favola nigeriana di Pyeongchang. Ha stabilito quattro record collegiali americani nel salto triplo con l’università del Kentucky, prima di farsi ispirare dalle colleghe del bob e tentare a 36 anni la qualificazione alle olimpiadi nella disciplina può folle tra quelle con le slitte: lo skeleton. Pancia a terra e faccia rivolta verso la lastra di ghiaccio non è esattamente l’habitat naturale di una nigeriana, ma Simidele è nata a Toronto, in Canada, dove in questo periodo nevica e la temperatura scende costantemente sotto lo zero.
Shannon, il primo eritreo con la passione per gli sci
Temperatura che sembrerà comunque gradevole a Shannon Abeda, 21enne eritreo. Mentre i giamaicani del bob si allenavano per Calgary ‘88, i suoi genitori scappavano dalla guerra d’indipendenza. Si trasferirono proprio in Canada, a Fort Murray, dove si scende tranquillamente sotto i 20 gradi anche quando splende il sole. Qui è nato Shannon, diventando il primo eritreo con la passione per gli sci e il primo a qualificarsi alle Olimpiadi invernali, con un 26esimo e un 42esimo posto in due gare ufficiali: quanto basta per aggirare la “Eddie ‘The Eagle’ rule”.
Il ghanese clandestino per 13 anni: “Osate sognare”
È la storia di un immigrato anche quella del ghanese Akwasi Frimpong. Cresciuto con la nonna e i cugini, a otto anni raggiunge la mamma nei Paesi Bassi. Nonostante tredici anni da clandestino, Akwasi si integra, studia, corre e vince persino una borsa di studio per frequentare l’università dello Utah. La speranza di diventare uno sprinter svanisce, ma nasce la passione per gli sport invernali. Riesce a entrare nella squadra olandese di bob, ma rimane riserva. Decide allora di darsi allo skeleton e dopo 15 anni di sacrifici ottiene la prima storica qualificazione per lui e per il suo Ghana. “Osate sognare”, ha scritto quel giorno su Twitter.
Mia, dall’orfanotrofio del Madagascar alle Olimpiadi
Impossibile sognare un futuro olimpico se invece a quattro anni sei rinchiusa in un orfanotrofio in Madagascar. Almeno fino a quando non vedremo Mialitiana Clerc presentarsi al cancelletto di partenza dello slalom gigante femminile. Dodici anni fa, quando il suo connazionale Mathieu Razanakolona tagliava il traguardo della pista del Sestriere scatenando gli applausi degli spettatori a Torino 2006, la piccola Mia era appena stata adottata da una famiglia francese. A 16 anni ora sarà la seconda rappresentante del Madagascar a partecipare ai Giochi invernali. Ma anche a Etaux, villaggio di 1800 abitanti all’ombra del Monte Bianco, tutti faranno il tifo per lei.
Sabrina, ultima ai Mondiali, ci riprova
Ha addirittura un fan club invece Sabrina Simader. E’ nata a Kilifi, in Kenya, ma poi ha seguito la madre fino a Sankt Johann am Wimberg, paesino di mille abitanti a 700 metri di altitudine nell’Alta Austria. Il patrigno le ha insegnato a sciare e lei ha iniziato a battere le coetanee austriache. Fino all’esordio un anno fa al Mondiale di Sankt Moritz nel SuperG e alla qualificazione per Pyeongchang. In Svizzera fu ultima, in Corea del Sud vuole innanzitutto rendere orgoglioso il suo Paese d’origine.
Yohan da Timor Est: “Ricordo al mondo che esistiamo”
Lo stesso vale per Yohan Goncalves Goutt, ragazzo francese che sarà il primo atleta di Timor est a partecipare ai Giochi olimpici. Sua madre è scappata da quella terra nel 1974, a bordo di un barcone in direzione Australia, dove ha ottenuto lo status di rifugiata. Poi ha sposato un francese ed è nato Yohan. Il figlio avrebbe potuto sciare per Francia o Australia, ma ha scelto Timor est “per ricordare al mondo che questo Paese esiste”, come ha raccontato a Usa Today.
Togo, Bermuda e Mongolia: ci sono tutti
E come quelle di Goutt, Frimpong o Clerc, ci sono decine di altre storie che animano questa come ogni Olimpiadi. Nello sci di fondo vedremo alla seconda partecipazione Mathilde-Amivi Petitjean del Togo, come il 40enne marocchino Samir Azzimani. Sfideranno fondisti che provengono dal Bermuda e dalla Mongolia. Nello sci correrà per la Bolivia anche Simon Breitfuss Kammerlander, il cui nome tradisce le origini austriache: insieme al padre è rimasto stregato da La Paz durante un viaggio in Sud America e non se n’è più andato.
E c’è anche il curling azzurro
E tra queste storie entra di diritto anche quella della nostra nazionale di curling. Perché giocare con le stones in Italia è tanto difficile quanto praticare bob in Giamaica. Dopo l’apparizione come paese ospitante a Torino 2006, gli azzurri hanno ottenuto la prima qualificazione grazie a uno splendido ultimo tiro del 22enne Amos Mosaner nello spareggio con la Danimarca. Joel Retornaz, skipper della squadra, racconta che a 5 anni il padre lo portava a giocare a curling sul laghetto ghiacciato di Cembra, vicino a Trento. Finché non è diventato troppo pericoloso. Gli italiani si sono dovuti spesso allenare anche sulle piste da hockey, dove però le stones non scivolano come nei campi regolamentari. Dopo Torino e le prese in giro della Gialappa, in Italia si è almeno saputo che il curling esiste, tanto che nel 2013 ne è nata pure una commedia, La mossa del pinguino. Più un film alla Full Monty che una storia sulla scia di Cool Runnings. Ma i cinque azzurri qualificati a Pyeongchang non sono un gruppo di disoccupati in cerca di un hobby e per due settimane potrebbero anche convincerci a fare le 3 del mattino pur di tifare per loro. E per le Olimpiadi, quelle vere.