Alla cerimonia dell'11 febbraio a Faedis hanno partecipato il sottosegretario al ministero della Difesa Domenico Rossi e la presidente della regione Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani. Pochi i cittadini
Quest’anno a Faedis, alla cerimonia per il 73esimo anniversario, di cittadini ce n’erano pochi. L’eccidio delle malghe di Porzûs per il Friuli resta una ferita aperta nonostante la simbolica riappacificazione tra alcuni dei sopravvissuti, don Redento Bello (Candido) e Giovanni Padoan (Vanni). Tra il 7 e il 18 febbraio del 1945, in quello che oggi è il comune di Faedis, 17 partigiani della Osoppo-Friuli (di orientamento cattolico e liberale) furono uccisi da un gruppo di partigiani delle Brigate Garibaldi, vicini al Pci, guidati da Mario Toffanin (Giacca). Tra gli altri, furono uccisi il comandante della brigata Osoppo Francesco De Gregori (Bolla), zio del cantautore, Gastone Valente (Enea), commissario politico delle brigate ‘Giustizia e Libertà’, e Guido Pasolini (Ermes), fratello dello scrittore Pierpaolo.
Secondo i ‘gappisti’ gli osovani erano in rapporti con la X Mas e con la Rsi, nascondevano spie inglesi e ovviamente si opponevano ai disegni jugoslavi. Per questo andavano eliminati. Gli osovani hanno sempre considerato l’eccidio una strage voluta e pianificata dai vertici del Pci locale, ormai agli ordini del IX Corpus jugoslavo – i partigiani del maresciallo Tito che operavano nella ‘Benecija’ (la Slavia friulana) con l’intento di portare le terre fino al Tagliamento sotto la giurisdizione di Belgrado – mentre per l’Anpi e i partigiani della Garibaldi altro non fu se non una azione scellerata e criminale di un gruppo di sbandati.
La situazione politica al confine orientale dell’Italia in quei mesi era complicata e confusa. Il Friuli e Trieste erano stati di fatto inclusi nel Terzo Reich germanico (Adriatisches Kusterland) ed erano oggetto di una intensa repressione antipartigiana coordinata dal locale capo della SS Odilo Globocnik, il costruttore di Treblinka e del campo di sterminio di san Sabba a Trieste. Le prealpi carniche e Giulie erano battute dai partigiani cattolico-social-liberali della Osoppo e dai partigiani rossi della Garibaldi. Sullo sfondo i contrasti politico-ideologici tra comunismo e anticomunismo e nazionali tra difesa della patria e assoggettamento al nascente regime socialista jugoslavo.
Nei processi del dopoguerra le responsabilità di Toffanin (che morì nel 1999 in Slovenia, graziato dal presidente della Repubblica Sandro Pertini) e dei suoi gappisti vennero accertate. Ci furono condanne severe, ma praticamente nessuno, anche grazie alle varie amnistie, scontò le pene in carcere. Anche per questo gli osovani hanno sempre resistito alle offerte di pacificazione. Secondo loro in tanti anni non c’è mai stata una vera, profonda e ultimativa presa di posizione degli eredi dei partigiani rossi.
Alla cerimonia dell’11 febbraio hanno partecipato il sottosegretario al ministero della Difesa Domenico Rossi e la presidente della regione Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani. “Ogni forma di estremismo è la negazione dei valori della nostra Repubblica a cui noi tutti dobbiamo ispirarci – ha detto Rossi nel suo intervento – Porzus è il simbolo di una Italia condivisa espressione di spirito di servizio, senso del dovere, di giustizia sociale. Il compito di chi fa memoria è fare in modo che questi valori siano tramandati ai giovani”. “Cori come quelli di ieri nelle nostre piazze (sulle foibe, ndr) sono inaccettabili per la società italiana – ha commentato Rossi – Tutti quelli che sono contro questi valori sono al di fuori dal mondo”.