Il primo grande insegnamento che il Festival continua a darci anno dopo anno è la regola matematica del “a furia di sentire qualcosa, quella cosa ti piace”. E infatti alla terza serata ti ritrovi a canticchiare tutti i ritornelli, anche quelli più imbarazzanti, e tutte le canzoni, anche quelle più immonde, iniziano a sembrati piacevoli.
D’altra parte questa regola che a forza di ritrovarti qualcosa in televisione quella cosa finisce per piacerti, spiega tutto in Italia, dalla pubblicità agli ultimi 20 anni di governo. Quindi, essendomi assuefatta anche a ciò che mi sembrava più orrendo, mi esimerò dal commentare le canzoni e le esibizioni, limitandomi a sottolineare il meglio e il peggio e dirvi COSA ABBIAMO IMPARATO da questo Festival.
IL MEGLIO
BAGLIONI: Chiunque tu sia, dovunque tu sia, potrebbe sempre arrivare Baglioni alle tue spalle per cantare con te. Claudio Baglioni ha dato una nuova interpretazione al concetto di “egocentrismo”. Lui è come l’organismo madre alieno di Avatar: permea tutto e tutto vive grazie a lui. Per quanto ne sappiamo questo Festival potrebbe essere stato una grande allucinazione collettiva generata da un lungo sogno di Baglioni che, in un colpo solo, riesce a fare omaggio a se stesso, alla sua carriera, far conoscere il proprio intero repertorio a tutte le persone in Italia nate dopo il 1992 che ignoravano la sua esistenza ed al tempo stesso a portare a casa il Sanremo più seguito di sempre. Il suo prossimo sogno potrebbe essere l’istituzione di una repubblica Baglionesca, dove si canta ininterrottamente per 16 ore al giorno e le restanti si fanno siparietti di cabaret anni ’60. Temo che potrebbe riuscirci. Preoccupiamoci.